26 giugno 2014, Roma, Minerva Auctions
Il manoscritto trasmette il terzo testimone, del tutto sconosciuto, dell’Infinito di Leopardi. Gli altri due, ben noti, sono conservati alla Biblioteca nazionale di Napoli e a Visso: e proprio quello di Napoli sembra fortemente imparentato con il nostro. Si tratterebbe di una copia di lavoro direttamente realizzata da Leopardi nel 1822 circa in prossimità del viaggio a Roma, da lasciare a Recanati come “back up” nel caso in cui fosse successo qualcosa al quadernetto degli Idilli che porterà con sé a Roma.
Una riscrittura fedele, incluse le varianti e le correzioni apportate al testo base, che testimonia una straordinaria e poco nota attenzione di Leopardi alla stratificazione del testo. L’accurata analisi grafologica condotta dall’equipe di Marcello Andria, responsabile e curatore da diversi decenni delle carte leopardiane della Nazionale di Napoli e dunque la massima autorità in materia, non lascia dubbi: la sua indagine, che comparirà in un prossimo articolo a firma di Laura Melosi (docente a Macerata della cattedra “Giacomo Leopardi” di Letteratura) sulla Rassegna, arriva a concludere che la mano è senz’altro quella di Giacomo per grafia, inchiostro e carta usata. Agli studiosi ora il compito di collocare questo scartafaccio straordinario nella prassi poetica interna al laboratorio leopardiano.
La stessa Melosi si dilunga nell’articolo sui passaggi che hanno condotto questa carta nelle mani dell’attuale collezionista. La chiave di volta dell’intera vicenda sono i rapporti intercorsi tra la generazione dei Leopardi degli anni ’40, Paolina e Carlo Leopardi (i fratelli di Giacomo), la vedova di Carlo Teresa Teja e i legali di casa Leopardi, Avv.Pellegrini e Matteucci, che curarono a lungo gli affari di famiglia. I due nipoti di Leopardi, affidati alle cure di Paolina e dello zio, cercarono di avviarsi alla carriera militare e i tutori tentarono di ingraziarsi alcuni personaggi locali per introdurli negli istituti più prestigiosi.
L’autografo venne inviato ad un Priore di un paese delle Marche perché potesse raccomandare il giovane Luigi Leopardi; di lì, per vari passaggi, giungerà nell’archivio Matteucci e quindi in quello Servanzi Collio, in compagnia di altri documenti leopardiani. Ignorato e non riconosciuto per oltre cento anni, solo oggi grazie all’occhio attento di un’équipe di studiosi qualificati è uscito dall’oblio questo preziosissimo cimelio per essere affidato alla prestigiosa casa d’aste Minerva Auctions.
Verrà posto in vendita il 26 giugno 2014 dalla Minerva Auctions, insieme (caso ha voluto) ad un’altra bella lettera di Leopardi (Firenze, 14 giugno 1831) indirizzata al cugino Matteo Antici a Roma. La stima si aggira intorno a € 150.000. L’ultima lettera importante è stata venduta – sempre da Minerva nel 2008 – a circa 40.000 euro (si trattava della celeberrima missiva col resoconto della visita romana al sepolcro di Tasso).
Esposizione
Lunedì 16 giugno su appuntamento
Da domenica 22 a martedì 24 giugno dalle 10 alle 18.
Mercoledì 25 giugno dalle 10 alle 13.
Evento
Lunedì 23 giugno ore 18.00
Interverrà Andrea Cortellessa e verrà proposta una lettura scenica dei celebri versi accompagnata dalla melodia di una chitarra Ottocentesca.