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“Fade in Italy”. L’arte del camouflage di Liu Bolin incontra il Made in Italy

liu bolin
Locandina della mostra FADE IN ITALY, Galleria Box Art di Verona

“Fade in Italy” è il titolo dell’ultimo progetto di Liu Bolin, l’artista cinese che dal 2005 – quando il villaggio di artisti di Suojia in cui lavorava, a sud di Pechino, fu raso al suolo dalle autorità governative – scompare davanti a monumenti e scenari metaforici.

Non si tratta dell’ennesimo tentativo di spettacolarizzazione dell’arte bensì di un atto consapevole, denso di implicazioni estetiche: in un linguaggio straordinariamente innovativo, l’artista si serve del camouflage per realizzare fotografie in cui la sua figura scompare mimetizzandosi completamente con il contesto urbano retrostante.

Liu Bolin
Liu Bolin, Suojia Village, 2006, fotografia

Attraverso le sue fotografie, dove la performance si fonde con le straordinarie abilità manuali dei suoi assistenti impegnati nella realizzazione di minuziosi ritratti camaleontici tramite bodypainting, Liu Bolin crea un cortocircuito dialettico tra presenza e assenza, tra l’esserci e l’essere celato, che riflette anche la sua volontà di accettazione passiva della realtà per continuare ad esserne il testimone.

Se l’accettazione passiva della realtà che lo circonda diventa l’unico modo di opporsi a una condizione negativa che pesa sull’individuo, allo stesso tempo rappresenta anche l’espediente per capovolgerla in positivo: poiché il sistema cerca continuamente di fagocitarlo nel tentativo di uniformarlo al regime, l’artista si serve di tale abuso accettando di essere inghiottito dall’ambiente circostante per trasformare la sua presenza fisica in assenza mentale.

In questo modo egli esplora i confini del binomio libertà-controllo sottolineando come la possibilità di catturare il corpo non coincida mai con la totale sopraffazione dell’individuo poiché, nonostante la reclusione, il pensiero resta libero e, in quanto tale, non potrà mai essere imprigionato. La presenza fisica si rivela presto mero artificio esteriore che consente all’artista di mutare la pelle per confondersi con il mondo e diventarne il testimone silenzioso.

Allontanandosi da quelle forme di opposizione rumorosa che oggi caratterizzano molti artisti dissidenti cinesi come Ai Weiwei, Yue Minjun e i Gao Brothers, Liu Bolin ha scelto di utilizzare la tecnica del camouflage per lanciare un messaggio di protesta inequivocabile ma velato da un’azione poetica che, pur entrando in comunicazione con il fruitore attento, sfugge dalla censura del regime cinese per il suo carattere silenzioso. Una riflessione sull’uomo, sul posto che occupa nel mondo e sul modo in cui agisce sul mondo.

Liu Bolin
Liu Bolin, Canal Grande, Ponte di Rialto, 2010, Lambda print su alluminio

Dopo aver indagato, con il ciclo “A secret tour”, il rapporto tutto italiano tra l’identità dell’uomo e la conservazione del proprio patrimonio culturale attraverso una serie di scatti realizzati in diverse città italiane, l’artista ha deciso di intraprendere un altro viaggio in Italia per dedicarsi alla scoperta del patrimonio produttivo legato al Made in Italy di alta qualità, itinerario che lo ha portato a lavorare con aziende come Ferrari, Tods e la cantina veronese Masi.

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4 Commenti

  • Beatrice Audrito ha scritto un commento molto interessante, coinvolgente per chi legge e soprattutto in grado di sollecitare molti spunti di riflessione sul lavoro Liu Bolin… Buon lavoro!

  • Questa nota interessante su Liu Bolin ci offre varie riflessioni e ne fa scaturire di nuove. Essa stabilisce una relazione causale tra la perdita del posto di lavoro e di appartenenza, con l’emergere di una poetica visiva di denuncia. Questo è già un enorme contributo alla nostra vita. La sua denuncia va oltre i confini della Cina.  Chi ammira Liu Bolin non ha il dovere di sapere cosa succede esattamente là, ed è probabile che questo importi poco agli altri. Il messaggio delle sue opere si proietta, con il potere della ripetizione, su diverse aree del mondo e sull’umanità di oggi. Come Beatrice Audrito indica, in queste opere si crea un “cortocircuito dialettico tra presenza e assenza”, dal quale si distacca un certo grado di invisibilità, dono d’ubiquità o di latenza, di essere in posto e non esserci in una sola volta.
    In tutte le opere c’è una manualità che richiede un’ osservazione attenta sull’arte visiva, sulla visibilità e anche, sopra l’essere e lo stare, dallo sguardo di Liu Bolin che, guardando alla fotocamera, come dire, ci guarda. Il soggetto, fuso quasi interamente con l’ ambiente, in un camouflage statico e piatto, sempre nella stessa posizione fissa e inorganica, provoca una serie di emozioni  nello spettatore. Egli è l’autore, io sono l’autore, noi siamo l’autore. Il camouflage, come una tenda, uno strato cromatico, copre il volume di un corpo umano che sta lì…uno spazio impossibile da marcare. La realtà è come un mantello che ci avvolge, e a volte ci copre, ci impedisce di muoverci, ci omologa? Ma come risposta di sopravvivenza, qil  nostro camouflage sembra richiedere un certo grado di morte, a diferencia dell manto di una tigre. Tuttavia siamo ancora lì…latenti, come una materia che resiste passivamente ma che non muore e che cerca di esprimersi.
    Grazie, commenti come questo invitano a guardare all’arte eal la cultura come una cosa viva.

  • fantastica…………..

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