Jimi: All Is By My Side di John Ridley, uscito nelle sale italiane il 18 settembre, non è un film biografico e non racconta la vita di Jimi Hendrix, per lo meno non tutta.
Jimi: All Is By My Side racconta un anno della vita di un uomo. Racconta l’anno 1966-1967, l’anno in cui Jimi Hendrix e la sua chitarra sono diventati l’icona di un’intera generazione.
Con questo lungometraggio il regista e sceneggiatore John Ridley (premio Oscar 2014 per l’adattamento di 12 Anni Schiavo) ha voluto raccontare una delle storie meno conosciute della storia del rock.
Siamo nel maggio 1966 al Cheetah Club di New York, l’allora sconosciuto Jimi James è sul palco e suona nella fila posteriore di uno dei tanti gruppi R&B di fronte ad un pubblico assente e distratto. Ma, come nelle migliori storie del rock, c’è una persona seduta ai tavoli del club giusto, al momento giusto. In questo caso si tratta di una brunetta di soli vent’anni, Linda Keith (Imogene Poots), allora fidanzata con il chitarrista del Rolling Stones, Keith Richards.
Linda percepisce immediatamente l’enorme potenziale di quel giovane allucinato dalle mani di fata e lo presenta a Chas Chandler, bassita dei The Animals agli inizi della sua carriera di produttore discografico.
Sarà proprio Chas a convincerlo a fare i primi passi, a spostarsi in Inghilterra, a formare la The Jimi Hendrix Experience e, alla fine di quell’anno a conquistare Londra con il concerto al Saville Theatre; il concerto con il quale Hendrix sbalordì il pubblico aprendo il live con una cover di Sgt.Pepper’s Lonely Hearts club band, singolo uscito da pochi giorni, e di cui McCartney ha spesso raccontato.
Con il live al Saville Theatre siamo nel pieno dell’anno 1967, non manca molto al 18 giugno, a Monterey e al successo planetario.
John Ridley resta lontano dai soliti canoni di “droga, sesso e rock’n’roll” e il film risulta, anche per questo, diverso e sorprendente. La droga c’è ma non appesantisce la narrazione, che solo in alcuni rari momenti segue il ritmo un po’ sbilenco di un leggero trip psichedelico. Con un montaggio a tratti rapido, a tratti volutamente rallentato, viene lasciato spazio agli incontri, ai dialoghi con uomini, donne, musicisti e manager in locali e luoghi perfettamente ricostruiti secondo la moda degli anni ’60.
Ad interpretare il ruolo, che finora nessuno aveva osato interpretare, è Andrè Benjamin (meglio conosciuto come Andrè 3000 degli Outkast), che oltre all’impressionante somiglianza fisica aggiunge una sorprendente interpretazione.
La scelta di soffermarsi su un solo anno della vita di questa icona del rock potrebbe sembrare un po’ limitante, ma è proprio questa scelta, a parer mio, a renderlo un film quantomeno originale e introspettivo.
Certo è vero che l’assenza della celeberrima performance sul palco di Monterey potrebbe lasciare lo spettatore con quella sensazione tipica di chi ha “l’amaro in bocca”…..
P.s. In ogni sala il lungometraggio è stato fornito in doppia copia: in lingua originale sottotitolato in italiano e doppiato in italiano; consigliata vivamente la versione in lingua.