Questo Festival del Film di Roma si distingue dai precedenti per aver delegato l’assegnazione dei premi ufficiali al pubblico in sala. Un traguardo che difficilmente sarà ad appannaggio dei film italiani che, a differenza di quelli proiettati alla 71ma Mostra del Cinema a Venezia, hanno deluso. Il glam del red carpet è rimasto inalterato, con folle di adolescenti a caccia di selfie e autografi e gli ‘incontri’ hanno appagato la stampa e i cinefili (Wim Wenders, Miike Takashi e Clive Owen).
Soap Opera, di Alessandro Genovesi, la cui sceneggiatura è stata scritta dallo stesso regista per un’opera teatrale mai rappresentata, narra le storie di bizzarri inquilini di un condominio, visti come i protagonisti di una soap opera. Una commedia surreale che però non ha convinto. Buoni a nulla di Gianni Di Gregorio è la storia di un impiegato (interpretato dallo stesso regista) che, prossimo alla pensione, vede posticipato il suo esodo e viene assegnato a un lavoro diverso in una sede lontana. Riesce però, a modo suo, a vendicarsi dei torti patiti. Poteva essere una satira, una storia attuale, e invece viene banalizzata diventando un contenitore di luoghi comuni (i pubblici dipendenti scansafatiche, ruffiani, servili etc.). Fa rimpiangere il comico e ironico Fantozzi. L’unica perla è l’interpretazione di Anna Bonaiuto nei panni di una dirigente in carriera
Anche alcuni film stranieri hanno deluso le aspettative o mancato i loro obiettivi, tradendo, nella loro realizzazione, i temi seri trattati. Tra questi: Time Ouf of Mind di Oren Moverman, che pedina nelle strade del Greenwich Village di New York un homeless, Richard Gere. Un attore poco credibile come barbone, che non riesce a rappresentare ‘il fondo’, nonostante la sua preparazione sull’argomento che l’ha reso ‘invisibile’ al punto da non essere riconosciuto durante le riprese. Troppi primi piani insistiti, un tempo dilatato, scandito dalle bevute, i rumori della città protagonisti e le cause di una vita sbandata sempre rinviate non riescono a coinvolgere lo spettatore o a emozionarlo. Il film di Tala Hadid: The Narrow Frame of Midnight nonostante la piccola e irresistibile protagonista Aicha, la sua tragica storia personale (orfana in balia di una coppia di balordi che sta per venderla), quella di Zacaria (scrittore alla ricerca del fratello probabile terrorista) e il viaggio attraverso il Marocco e Istanbul, non cattura, non spiega una realtà tragicamente complessa.
Questa kermesse ha sicuramente conquistato il pubblico degli adolescenti, generazione protagonista in alcuni film. Nel film Eden la regista, Mia Hansen-Løve, rappresenta l’energia e l’euforia degli anni Novanta e della musica garage che pompa durante tutto il film. Felix De Givry interpreta un dj lanciato verso un successo che si rivela pericoloso. Il telegrafico colloquio con la madre, molto bello e realistico, evidenzia quanto le loro vite siano estranee nonostante la convivenza. Un rave dietro l’altro da cui si esce storditi all’alba, con colonna sonora French Touch. In conferenza stampa la regista ha detto che non è un documentario ma fiction, lei stessa ha frequentato in quegli anni molti club insieme al fratello Sven, dj e ideatore del duo dei Cheers. Questo viaggio nella ritualità rave di una generazione dedita alla musica, al consumo di amori e droghe lascia il vuoto dei più fragili che però spinge a crescere. Un film molto acclamato dal pubblico più giovane è Love, Rosie (#scrivimiancora) di Christian Ditter, con Lily Collins e Sam Claflin. Una commedia sentimentale, tratta da un best-seller di Cecelia Ahern, influenzata dalle serie tv. È un viaggio di iniziazione epistolare di giovani che hanno cercato passione e amore nella persona sbagliata. Finale tirato fino all’età adulta verso uno scontato happy end.
Tra i film a 5 stelle, presentati finora: As the Gods Will del pirotecnico Miike Takashi; Escobar: Paradise Lost di Andrea Di Stefano, sulla normalità del narcotraffico in Colombia con un Benicio del Toro da Oscar; Trash di Stephen Daldry sulla corruzione in Brasile e la vita senza speranza dei bambini delle favelas e Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland sul problema sottostimato dell’Alzheimer, forse la più bella interpretazione di Julianne Moore.
Per il futuro speriamo che l’organizzazione riesca a eliminare il ritardo con cui iniziano spesso i film in sala. Buona visione a tutti, Antonella Cecconi 22.10.2014