La casa d’aste genovese Wannenes propone per la giornata di mercoledì 26 novembre 2014 una vendita dedicata ai dipinti antichi (dalle ore 15.00) e del XIX secolo (alle ore 21.00). L’esposizione si tiene dal 22 al 25 novembre a Palazzo del Melograno (Piazza Campetto 2, Genova) con orario 10.00 – 13.00 | 15.00 – 19.00.
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Asta 156
DIPINTI ANTICHI | DELLE BATTAGLIE E DELLE PERDUTE VIRTÙ
26 novembre 2014, Genova
La battaglia da sempre ha attraversato la storia dell’arte, per la sua capacità di essere parimenti massima espressione della narrazione di storia e repertorio di caratteri ed emozioni. Un tema che trova l’apogeo nella famosa disputa tra Leonardo e Michelangelo con i cartoni ora perduti della battaglia di Anghiari per il primo e di Cascina per il secondo, che tra il 1503 e il 1506 vennero commissionati ai due sommi artisti da Pier Soderini, per dei futuri affreschi che dovevano decorare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze.
Un genere che nel barocco trovò enorme fortuna per la sua capacità di essere grandiosamente dinamico dal punto di vista compositivo, plastico e coloristico. Rubens e Pietro da Cortona, Borgognone (Jaques Cortouis) e Charles Le Brun sono alcuni dei grandi interpreti di un genere capace di rinnovarsi attraverso lo scorrere del tempo.
Di straordinaria valenza scenica e misure parietali, la nostra battaglia esibisce aspetti qualitativi sorprendenti e una vitalità narrativa travolgente (stima 15.000 – 25.000 euro). D’inequivocabile gusto barocco, la tela si può datare plausibilmente attorno alla seconda metà del XVII secolo, e realizzata da un autore a conoscenza degli esempi pittorici della scuola romana, cortonesca e delle invenzioni di Jacques Courtois. Le caratteristiche che pongono l’accento sulla concretezza fisica, nella capacità di rendere reali gli eventi evocandone gli odori acri e la perfetta descrizione dei moti dell’animo, si possono ben cogliere in tutta l’energia dello scontro e nell’audacia dei cavalieri che sono descritti a distanza ravvicinata e di cui possiamo osservarne gli sguardi, la tensione dei corpi e la drammatica vemenza dello scontro.
Tuttavia, i caratteri di stile indirizzano la ricerca attributiva verso un maestro di straordinaria eleganza e una maggiore attinenza agli aspetti disegnativi, coadiuvati da una stesura esteticamente assai ricercata e più classica rispetto al Courtois, avendo in se un substrato culturale con maggiori attinenze alla scuola francese.
Questi aspetti mostrano un’indubbia affinità con l’opera di Charles Le Brun (Parigi 1615 – 1690), che allievo in giovane età di François Perrier e Simon Vouet, soggiornò a Roma tra il 1642 e il 1646 presso Nicolas Poussin e fu ben accolto dalla famiglia Barberini.
Rientrato in patria, l’artista fu subito apprezzato da Luigi XIV, che gli commissionò diverse opere come quelle dedicate alle imprese di Alessandro Magno, che contemplano eccezionali scene belliche. Le similitudini che riscontriamo tra il pittore parigino e il dipinto sono alquanto eloquenti, e solo una dovuta prudenza ci induce a non spenderne il nome senza ulteriori conferme critiche, mentre la qualità sottolinea una singolare analogia.
Nella tela venata d’intenso realismo rappresentante “Una bimba seduta con un gatto in grembo, e una vecchia popolana” del napoletano Gaspare Travesi (Napoli, 1722 – Roma, 1770) e dopo alcuni decenni dopo la travolgente Battaglia assai affine alla maniera di Charles le Breun, il clima è completamente cambiato: siamo vicini al pauperismo sociale di Giacomo Ceruti, ma con una vividezza cromatica e un’accentuazione simbolica assai più intensa rispetto a quella del maestro lombardo (stima 40.000 – 60.000 euro).
Alberto Lattuada con acume sottolinea come la scena è: “a mezza strada tra la tranche de vie e l’antica allegoria morale nord-europea”, e a proposito del soggetto afferma che “trova antecedenti iconografici in tradizioni figurative sia italiane sia nord-europee, è – come spesso accade – in parte legato alla commedia dell’arte, e in parte anche alla tendenza di lunga durata a visualizzare proverbi e motti di spirito popolari. Nella tradizione popolare olandese, la bambina con il gatto in braccio è simbolo d’imprevedibilità e di carattere infido, contrapposto a quello del ragazzo con un cane in braccio, simbolo di affidabilità e di carattere mansueto”.
Il drammatico disincanto di Gaspare Travesi – accentuato dalla luminosità dei panneggi e dallo splendore dei chiaroscuri – si rivela nell’iconografia del gatto in fasce che annuncia un futuro di perdizione della ragazza, ossia una premonizione del suo e dell’umano destino.
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Asta 156
DIPINTI ANTICHI | TRA TARDO GOTICO E BAROCCO
26 Novembre 2014
Per quel raffinato conoscitore dell’arte dal XIII al XV secolo che era Luciano Bellosi, ogni fondo oro era una testimonianza per comprendere le molteplici personalità che hanno reso la Toscana e in particolare Firenze quel coacervo straordinario di pittori, scultori e architetti che in ideale contatto con la classicità ha reso possibile quel rinascimento delle arti che ha rivoluzionato la cultura visiva occidentale.
La Madonna col Bambino fra i Santi Giovanni Evangelista, Caterina d’Alessandria, Lucia e Sant’Antonio Abate, un grazioso e delicato dipinto su tavola a fondo oro (stima 15.000 – 25.000 euro), aveva incontrato la sua attenzione attraverso un expertise tanto acuto quanto esaustivo nel raccontare sia il metodo con cui Bellosi giungeva a determinare una ipotesi attributiva, sia nel comprendere quanto mirabili ed illuminanti era le parole con cui riusciva a collocare l’artista all’interno di un ambito artistico e culturale.
“Si tratta di un dipinto fiorentino databile verso il 1370-1380, che presenta i caratteri di un seguace degli Orcagna, ma ingentiliti da una attillata eleganza e da una grazia nella quale rientra anche qualche ricordo di Giovanni da Milano, il pittore lombardo attivo a Firenze fino a 1369. Nella figura di Santa Lucia, il garbo stilizzato e il linearismo un po’ asciutto della posa e le fattezze del volto con l’occhio che si allunga verso la tempia, il naso diritto, la bocca piccola ma carnosa e la goccia di luce che rialza il mento appuntito, vanno in direzione Cenni di Francesco di ser Cenni. Di questo pittore, attivo tra il 1369 e il 1415, la tavoletta che stiamo esaminando potrebbe essere un’opera giovanile”.
Sulle orme dell’illustre connazionale Pieter Paul Rubens giunto a Genova nel 1605, Vincent Malò, nato a Cambrai nel 1606, si trasferì ben presto in Italia per perfezionarsi nell’arte, attratto, come molti suoi connazionali, dalle allettanti prospettive di formazione e lavorative che un viaggio in terra italica poteva offrire.
La sua presenza a Genova dovrebbe collocarsi a partire dal 1625 circa e sino a tutti gli anni Trenta del XVII secolo, anche con sporadici viaggi in altri centri della penisola. Partendo da uno stile improntato sui modelli del tardomanierismo, Malò formulò nella maturità un proprio linguaggio sull’esempio di Rubens e Van Dick. Eseguì quadri religiosi e di genere da destinare al mercato. Lo sviluppo di tale maniera fu favorito dal dialogo con la nutrita comunità di pittori nordici operanti a Genova nel Seicento, nonché dal contatto diretto con le opere di Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto.
Nell’Ultima Cena l’ambientazione architettonica è dominata dalle colonne tortili di matrice rubensiana e berniniane che rendono la scena vorticosa, e questa sensazione è accresciuta da movimento circolare del gruppo di angioletti avvolti in un fascio di luce (stima 15.000 – 25.000 euro). La composizione è simile all’identico soggetto dipinto da Rubens nel 1632 (ora alla Pinacoteca di Brera) per una misurata gestualità dei personaggi, un coinvolgente incrocio degli sguardi modulando i tratti fisionomici, dove l’artista riesce ad amalgamare la linea curva, quasi serpentinata d’intonazione manierista, a una sensibilità cromatica tipicamente barocca.
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DIPINTI DEL XIX SECOLO | VEDUTE E RITRATTI
TRA RESTAURAZIONE E BELLE ÉPOQUE
26 novembre 2014
La Veduta di piazza del Duomo in Milano rappresenta per Giovanni Migliara l’opera che meglio descrive la sua maniera, che unisce sensibilità ottica e atmosferica della luce, a un’attenzione illustrativa e pittoresca nel raccontare la vita che abita la grande piazza (Stima € 40.000 – 60.000).
Presentata per la prima volta all’Esposizione di Brera del 1812 insieme ad altre tre vedute urbane milanesi (Porta Nuova, Atrio di S. Ambrogio, Piazza delle Erbe) nel corso della sua carriera Migliara replica quella che è considerata la sua opera più rappresentativa. I temi derivati dalla pittura veneziana del Settecento, unitamente a paesaggi e scorci tratti dal vero del territorio milanese e lombardo costituiranno due filoni costanti nella sua produzione. Da maestri come Canaletto e Bellotto Migliara adottò l’uso della camera oscura, nota già all’epoca per le repliche dei dipinti prospettici.
In questa versione, la facciata del Duomo è incorniciata dal Coperto dei Figini in primo piano, e dall’isolato del Rebecchino con Palazzo Reale sullo sfondo, sicuramente una delle immagini più emblematiche della piazza del Duomo di Milano, prima delle demolizioni e dei rifacimenti della seconda metà del secolo.
La stessa attenzione Migliara la dedica in un’intensa tela posseduta dal Dott. Felice Bianchi di Milano che raffigura il Porticato della Basilica di Sant’Ambrogio che come la Veduta del Duomo emerge per un originale taglio prospettico e una vivida sensibilità coloristica (Stima € 20.000 – 30.000). In questo quadro tutto è aurea chiarità solare diffusa, e il verde fresco dell’erba del cortile e il rosso acceso dell’addobbo della porta centrale della chiesa vi spiccano come note coloristiche nel Migliara insolitamente vivaci.
Protagonista della Belle Époque, Giovanni Boldini, è lo sfolgorante interprete di una stagione impareggiabile, dove il progresso e il benessere delle classi più agiate dette modo ad artisti mondani, eclettici ed estrosi come lui di rappresentare nella maniera più smagliante un
gusto tanto raffinato quanto effimero, che si interruppe tragicamente con lo scoppio della Grande Guerra nel 1914. Un esempio di questa soave grazia la troviamo nel Ritratto di Josefina Alvear del 1915, dove il maestro ferrarese con poche e saettanti pennellate ferma con superbo talento il carattere dell’effigiata (Stima € 40.000 – 60.000).