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L’arte all’epoca dei social. Intervista a Benito Ligotti per Social Control

Social Control
Social Control. Benito Ligotti all’opera (Foto: Andrea Sartoki)

Quattro metri quadrati di tela dove raccogliere 800 impronte digitali. 800 “donatori” anonimi che hanno siglato con l’ultima falange delle proprie dita quadratini di tela per dare vita ad una vera e propria opera d’arte condivisa. Un’aura d’inchiostro composta da 800 testimonianze fatte a impronta, ultimo baluardo del controllo da parte di social e affini. Benito Ligotti (Cosenza, 1987) presenta il suo esperimento artistico-sociale all’Università Bicocca di Milano giovedì 12 marzo (padiglione U6, ore 17): Social Control, titolo unico per identificare sia il progetto itinerante di Ligotti (curato da Margherita Zanoletti) che il convegno a cui la giornata si ispira (filosofi, criminologi, giuristi e pedagoghi si alterneranno dalle 10 in Aula Magna).

Social Control nasce a fine 2013 dall’esigenza di chiedersi come le informazioni che scambiamo e condividiamo attraverso internet, in particolare sui social network, siano utilizzate per perseguire finalità commerciali di cui non abbiamo del tutto piena coscienza.

Artisticamente autodidatta, una laurea in legge, l’esigenza di tradurre ostinatamente il pensiero (critico) in pratica. L’opera di Ligotti è un concentrato di riflessioni socio-filosofiche concretizzate attraverso l’uso della logica e della geometria, su tutti il sillogismo e l’”omaggio al quadrato” (bianco) che “contiene il pensiero nella sua elasticità infinita”. Contaminazioni eclettiche che hanno eletto il tema della condivisione sociale perno di riflessione su cui lavorare.

Social Control approda all’Università Bicocca. Benito, ma è sempre meglio chiamarti “Ben”, raccontaci com’è nato il progetto.

È nato come una provocazione sociale, vedere il comportamento della gente posta davanti ad un fatto: sei iscritto a Facebook? Utilizzi il web? Hai la carta fidaty come qualsiasi altra carta che serve a chi la emette di acquisire nostre informazioni? Tu che usi questi mezzi, tu che sei catalogato e registrato, mi dai la tua impronta? Non è così semplice, li ho messi davanti a questa provocazione, a questa possibilità, creando un progetto condiviso che interessasse il controllo sociale in generale. Mi interessava affrontare la tematica della condivisione della propria identità su internet e l’ho voluta declinare dal punto di vista artistico.

Li hai messi di fronte alla complicità che quotidianamente attanaglia le loro/nostre vite, dalla quale spesso non si può scappare. Il passo successivo è stato chiedere un segno, una testimonianza dell’incontro: uno status sociale condiviso, l’impronta. Qual è stata la risposta del pubblico-interattivo? Hanno rifiutato, accettato, si son sentiti coinvolti…

Moltissimo sì. Certo non è facile chiedere a persone a caso in giro la propria impronta per entrare a fare parte di un progetto. Un buon venti per cento non ha accettato, la maggioranza invece erano partecipi, stimolati e felici. All’inizio c’è stato sempre un blocco mentale, poi non vedevano l’ora di mettere la propria impronta. Qualcuno la personalizzava, alcuni facevano foto e le mettevano su Facebook. Il capovolgimento della provocazione.

Le persone infatti sanno che ogni qualvolta che si iscrivono ad un social o altro firmano e/o accettano un contratto.

Sì e io glielo mostro, dico subito che voglio la loro impronta che diventerà un’opera. Sono contenti di essere “in mostra”, addirittura molti mi chiedono se gli metto il nome dietro o sotto il supporto su cui prendo l’impronta. Io però non voglio valorizzare il singolo ma l’insieme. Social Control è la testimonianza artistica del nostro valore di insieme. Spesso siamo protagonisti come singoli sul web, ma lo siamo solo grazie al fatto che ognuno di noi ci prova, che siamo tutti lì e c’è sempre qualcuno che lo legge. Ci esibiamo perché c’è pubblico.

Il pubblico è allo stesso tempo attore. Alla gente quindi piace far parte della tua opera come in generale dell’”opera Facebook”. Non gliene importa niente se poi quelli sfruttano le informazioni personali o cosa. “Fai di me quello che vuoi basta che io ci sia e appaia da qualche parte.

Alcuni addirittura mi han detto che se non avessi messo il loro nome non mi avrebbero dato l’impronta.

Impronta che poi è l’ultima cosa che ci identifica, una delle poche cose che non ci hanno ancora “rubato”.

Ora lo stanno già facendo con i nuovi smartphone e con i nuovi computer. Registrano tutto, registrano anche l’impronta digitale.

È già quasi passata anche la tua opera.

Incredibile davvero, la gente non ci fa neanche caso, pensano a una semplice autoprotezione e intanto forniscono la loro impronta. Di solito te la prendono quando ti schedano. Invece…

Lasciamo perdere infatti. Alla fine l’opera ha preso forma: “Social Control Tavola Condivisa Numero 1”, l’opera cult che ti ha fatto conoscere al panorama artistico. Raccontacela.

È una tela che ho fatto io a mano, 196 per 196 cm. Un quadrato perfetto con all’interno apposti un tot di quadratini perfetti, cartoncini tagliati uno per uno, sopra i quali c’è un’impronta. Dietro le tesserine si intravede un mondo abbozzato, il network globale.

L’opera ha avuto molto successo ed è stata richiesta da alcune gallerie…

Vero ma non posso fare nomi e dire di più. Ci sono collaborazioni e progetti in corso.

Passo successivo?

Sarà quello di creare una tela di un’altra forma geometrica dove chiederò ad ognuno di collocarsi, partendo dal presupposto che noi non abbiamo il controllo di quello che pensiamo di poter essere e fare. Posso dirti che sarà un’opera che si concretizzerà mediante un confronto (sempre con i donatori) sulla posizione di ognuno di noi in questa società. Ho una certa cosa in testa… ma anche qui non posso sbilanciarmi troppo.

Altri progetti nell’immediato?

Adesso mi dedicherò ad una tavola condivisa 4 per 4 metri. Andrò a Genova, Milano, Monza, Torino, Bergamo, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Roma per raccogliere impronte.

Benito Ligotti. Social Control
Benito Ligotti. Social Control

Torniamo alle origini di Social Control. Quando hai incominciato a ragionarci su?

È un pensiero su cui ho cominciato a rifletterci quando mi sono iscritto a Facebook. Concretamente ha preso forma a fine del 2013 e nel 2014. Sono abituato sempre, purtroppo o per fortuna, a concretizzare quello che penso e le cose che faccio ed è venuta fuori questa cosa qua. Quindi è stata una riflessione sulla tematica della condivisione della propria identità su internet, confrontarmi su questo tema in un modo che possa essere capito dagli altri.

Come si è evoluto il progetto?

Sostanzialmente il tema centrale è sempre stato quello di condividere lo status personale. Ho fatto vari status personali nei quali c’è solo il segno di quello che voglio dire o di qualsiasi mio stato d’animo ed emozione, non c’è mai la descrizione. C’è un segno, un tratto, un istinto e basta. Dai singoli son passato a sviluppare poi la realtà di quello che avviene sui social e sui web, quello della massa, della presenza di tutti in rete. Devo dire che Social Control è stata da subito un’opera apprezzata perché descrive un certo numero di incontri tra me e i donatori dell’impronta. Ho incontrato personalmente tutti i donatori. C’è la testimonianza dell’incontro ma non del contenuto.

Impronta uguale Status Condiviso. Ogni incontro-scambio è siglato dall’impronta e nient’altro. Le persone lasciano un segno: la potenza del gesto. Quando la persona applica la sua impronta scatta l’interazione materiale con l’opera, in quel momento assume valore sia il gesto che la tela, si conferisce diciamo l’aura.

La chiacchierata che stiamo facendo noi ha un senso, è uno status condiviso, una tavola condivisa, un piccolo status. Potrebbe essere registrata con un’impronta.

Aspetteremo allora anche una performance in uno spazio espositivo dove prendere dal vivo le impronte, una cosa tipo “Status Sociale Artistico Condiviso”.

Social Control. Benito Ligotti all'opera
Social Control. Benito Ligotti (Foto: Andrea Sartoki)

Che “relazione” hai con la privacy. Ossia, con la tua opera vuoi constatare il “problema” della privacy e/o infrangerlo.

Soprattutto lo voglio infrangere, metterli davanti a quello che succede quotidianemente. La privacy nell’opera è più sfruttata che altro, è una cosa che arriva di sponda. Il mio esperimento parla di identità: dire il nome, comunicare i propri dati. Il discorso della privacy è una diretta conseguenza. Prima viene l’identità poi si crea la privacy, come nella storia.

Sei laureato in giurisprudenza e autodidatta a livello artistico. Mai pensato all’Accademia?

Ho sempre considerato la mia forma espressiva artistica come necessità di comunicare, di raccontare qualcosa che non trae linfa da una formazione tecnico pratica, ma contenutistica. Mi sarebbe piaciuto però fare un percorso di Belle Arti, probabilmente mi avrebbe permesso di usare altri linguaggi espressivi che non ho neanche preso in considerazione.

Oltre alla materia dei tuoi studi, la tua opera è con concentrato di riflessioni filosofiche concretizzate attraverso l’uso della logica e della geometria. Tutti elementi presenti nel tuo operare.

La mia opera è un frullato della mia esperienza di vita, difficile esprimersi senza tutto quello che uno ha passato. Mi hanno influenzato moltissimo, certo, gli studi di legge. La geometria come la matematica, poi, infatti, possono concretizzare questioni logiche di ragionamento a livello filosofico, ad esempio il triangolo filosofico della legge, vedi Pitagora e il suo insegnamento. Ho avuto l’esigenza di tradurre il pensiero e il ragionamento nella pratica.

Ed è nata “Costruzione dell’idea” nel 2012, il tuo primo lavoro concettuale.

Esatto. Partendo dal concetto di sillogismo ho fatto 4 quadrati di sfondo, ne ho messi 3 sopra con al centro quello più stabile perché sia supportato da 4 premesse. I quadrati servono a stimolare l’osservatore a prendere un percorso.

Quadrato che è presente e fondamentale nelle tue opere da Costruzione dell’Idea a Social Control.

Per me il quadrato è la figura geometrica stabile per eccellenza. Associo il quadrato bianco al pensiero: nella sua elasticità infinita può contenere tutto. Porto spesso, per spiegarmi, l’esempio della sofferenza: c’è chi soffre, che può scavare dentro il quadrato la Fossa delle Marianne, come invece con un pensiero semplice scava poco. In entrambi i casi è tutto dentro. Ho un pensiero, che sia grande, piccolo, medio non cambia. Ho un pensiero punto.

Un quadrato come detto bianco, un archetipo, la struttura del pensiero.

Nella sua elasticità può contenere tutti i colori del mondo in ogni loro sfumatura.

Contiene l’Idea platonica.

Sì, Platone poi mi ha aperto un mondo, perché il Demiurgo platonico mi ha fatto riflettere sul mondo delle Idee e il mondo delle cose. Mentre Costruzione dell’Idea sviluppa ragionamenti che possono essere rappresentati, nell’Idea non esiste l’opera. Se tu hai l’idea una volta che l’hai realizzata non l’hai più.

Social Control. Benito Ligotti all'opera
Social Control. Benito Ligotti all’opera (Foto: Andrea Sartoki)
Benito Ligotti. Social Control
Benito Ligotti. Social Control
Benito Ligotti. Social Control
Benito Ligotti. Social Control

 

 

INFORMAZIONI UTILI

Benito Ligotti, SOCIAL CONTROL, a cura di Margherita Zanoletti

video documentazione di Raffaele Tamburri

inaugurazione giovedì 12 marzo 2015, ore 17,00, aperta fino a lunedì 16 marzo

ingresso gratuito

Giornata di studio SOCIAL CONTROL

Università degli studi di Milano – Bicocca

Aula Magna, piazza dell’Ateneo Nuovo, Milano

partecipazione gratuita

Evento organizzato da Università degli studi di Milano – Bicocca, Dipartimento dei sistemi giuridici in collaborazione con l’Associazione Rivolta e il Comune di Cinisello Balsamo – Assessorato alla politiche culturali

Le foto della mostra

Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)
Social Control (Foto: Raffaele Tamburri)

 

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