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Psicopatologie degli italiani al volante. Una cultura civica da terzomondo

il sorpasso - ArtsLife

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Il vigile scelto Marco Bergamini aveva appena tirato il nastro per delimitare la zona dell’incidente, alle porte di Salò, in cui aveva perso la vita Angelica Caironi, una bella ragazza di vent’anni, stesa sull’asfalto, pietosamente coperta da un lenzuolo bianco, quando una macchina è passata rombando, come se niente fosse, in furiosa gimkana tra il  corpo, le lamiere della vettura distrutta e i soccorsi.

L’autista ha pure avuto la gentilezza di informare lo sbigottito vigile, gridando dal finestrino: «Io devo andare a casa!». Anche noi un po’ sbigottiti lo siamo. Ma come mai l’autista non è stato fermato e denunciato? Bergamini ha raccontato che avevano fermato il traffico per far arrivare i soccorsi, e che dalla coda che s’era formata, era scoppiata una gazzarra senza senso. Insomma una vera e propria gara di cultura civica

«Insulti, bestemmie, parolacce. Ho assistito a scene incredibili. Uno ha strappato il nastro, una signora gridava come una ossessa di levare di lì il cadavere che lei doveva andare a casa, tre ciclisti spingevano, per passare a tutti i costi. Ne ho preso uno, l’ho portato davanti al cadavere: Non hai rispetto per questo corpo? Lo trovi giusto? E se fosse un tuo parente?».

Nella nostra digitale società dell’insulto non bisognerebbe mai finire di stupirsi, anche se c’è un limite che dovrebbe incutere un po’ di paura. E’ quel limite che non riusciamo a cogliere o a capire. Lasciamo giudicare a voi. A Salò i vigili si beccano gli insulti e non denunciano nessuno.

Sempre in Lombardia, a Roncadelle, i vigili multano un handicappato che aveva lasciato la macchina in seconda fila. Apriti cielo. La piazza è Facebook. Su una pagina, «Sei di Roncadelle…», parte la sagra dell’ingiuria. Il disabile chiede scusa, ammette pubblicamente il suo torto: «Ho sbagliato, la multa era giusta». Ma non serve a niente. Gli improperi continuano, e «i pezzi di m…» è il più scontato.

Il comandante Luca Treccani alla fine li denuncia: «Il mondo virtuale non può essere un luogo dove si può dire tutto ciò che si vuole e pubblicare notizie non veritiere». Quella pagina di Facebook adesso è piena di «elementi cancellati», aspettando il giudizio del Tribunale.

Lo stesso che attende un signore di Bari. Al posto del web ha preferito esporre un cartello in vetrina: «Noi qui lavoriamo  mentre voi passeggiate e chiacchierate passando tra le macchine. Prima di toglierci quel poco che già prendiamo, cercate di essere più giudiziosi, non fate i soliti PEZZI DI MERDA!!!». Denunciato, per oltraggio a pubblico ufficiale.

Anche M.P., 49 anni, da Dalmine, Bergamo, aveva preso la stessa denuncia. Ma la sua, forse, è la storia più emblematica di tutte, perché spiega un mucchio di cose, e merita di essere raccontata tutta. M. P. ha un bell’accento bergamasco, ma è nato a Sant’Antioco, in Sardegna, particolare non irrilevante, vista la mole di terrone che riserva a una delle vigilesse, rea di averlo multato.

il-vigile-urbano
Gianni Rodari

Lui ha lasciato la sua Honda parcheggiata sul marciapiede e quando arriva, tre vigili – due donne, un uomo – gli hanno già staccato il verbale. Va su tutte le furie: «Siete tre c… che rubano i soldi a chi lavora». Gli epiteti sono  un po’ scontati, e ce ne scusiamo. In genere, la vittima lavora sempre, anche se magari non ha mai pagato le tasse in vita sua, e gli altri invece rubano il lavoro.

I vigili si inalberano e gli chiedono i documenti. Risposta: «Non siete nessuno, non vi dò niente. Che cosa ve ne fate di quelle pistole, andate a prendere i marocchini se ne siete capaci». Una delle vigilesse si espone nell’alterco con il suo marcato accento siciliano. M.P., da Sant’Antioco, la bacchetta per bene, stando a quanto risulta nei verbali, secondo l’accusa: «Terrona di m… Vai a lavorare al tuo paese al Sud, che qui rubi il posto di lavoro ai nostri giovani». Il motociclista è denunciato per resistenza e oltraggio. Si va in Tribunale.

Giudice Donatella Nava. La resistenza decade subito: non c’è. Per il resto, l’irascibile utente della strada

«si limitò a offendere ripetutamente la polizia locale una volta avvedutosi che era stato sanzionato per divieto di sosta del suo motociclo». Morale: «Non vi è dubbio che l’imputato si rivolse in maniera villana agli operanti, ma ciò non contempla la fattispecie di cui all’articolo 337 cp».
Per cui: assolto. Motivo: «Deve ritenersi infatti che la condotta dell’imputato abbia cagionato alle vittime un danno di particolare tenuità».

Tradotto: quegli insulti non fanno male. Ma quand’è che fanno male gli insulti? Detto francamente, a noi non interessa chi ha ragione o torto, ma proviamo un po’ di nausea a dover convivere con questa sagra dell’insulto, con i suoi pistoleri migliori, che in genere sono abbastanza ignoranti (dal latino: ignorare, non è un insulto), da non capire mai quello che gli si dice o gli si contesta, e abbastanza volgari (da vulgo, latino?) da conoscere solo un modo di esprimersi.

cultura civica

Vorremmo che questa gara dell’offesa avesse meno pubblico compiacente, e anche meno giudici compiacenti, forse, e che qualche volta si ritorcesse contro i loro protagonisti. Così, anche solo per sentirmi, almeno una volta, in un paese civile. Ma evidentemente non ho un capito un cazzo (tanto per restare in tema…).

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