P. Cézanne, Mont Sainte-Victoire, 1895. The Barnes Foundation, Merion, Pennsylvania, USA
“Come un cane Cézanne restava seduto là davanti e semplicemente guardava.” R. M. Rilke
“La tesi da sviluppare è, quale che sia il nostro temperamento, o forma di potenza di fronte alla natura, dare l’immagine di ciò che vediamo, dimenticando tutto ciò che è stato visto prima di noi.” P. Cézanne, Lettera alla moglie E. Bernard
P. Cézanne, Mont Sainte-Victoire, 1895. The Barnes Foundation, Merion, Pennsylvania, USA
Devozione “al mondo visibile”. Silenzio capace di ascolto. Rispetto per l’«essere» dinnanzi al proprio sguardo. Questo l’atteggiamento di Cézanne nei confronti di ciò che si presenta di volta in volta nell’esperienza. Ogni cosa accade lì di fronte per la prima volta, appare in tutta la sua estraneità. Nessuna volontà di riordinare, nessuna categorizzazione;supinamente ci si lascia investire da ciò che si percepisce, così come lo si percepisce.
“Imparerai anche questo” disse Vasudeva “ma non da me. Ad ascoltare mi ha insegnato il fiume, e anche tu imparerai da lui. Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui.” H. Hesse, Siddartha
Per quanto riguarda l’atteggiamento da mantenere dinnanzi alla natura, il pittore francese diceva: “Bisogna sottomettersi a quest’opera perfetta. Tutto ci proviene da essa, per essa noi esistiamo; dimentichiamo tutto il resto.”
Proprio a partire da questo tipo di suggestioni prendono piede le intriganti riflessioni del filosofo Maurice Merleau-Ponty. Ne Il dubbio di Cézanne si interroga circa la novità artistica del genio di Aix-en-Provence tramite una sottigliezza che difficilmente si può ritrovare in altri autori.
Maurice Merleau-Ponty (1908-1961)
Scrive il maestro di Rochefort: “Cézanne non ha creduto di dover scegliere tra sensazione e pensiero come caos e ordine. Non vuole separare le cose fisse che appaiono sotto il nostro sguardo e la loro labile maniera di apparire, vuole dipingere la materia che si sta dando una forma, l’ordine nascente attraverso un’organizzazione spontanea.”
Mancano i dualismi, nulla vive ancora in opposizione. È una ricerca della primigenia nascita dell’essenza degli enti nella natura, che così è accolta originariamente dalla percezione: una percezione in alcun modo dominante. Da questa fusione spontanea tra lo sguardo dell’uomo e lo sguardo del mondo scaturisce l’in sé delle cose.
Nessuna demarcazione degli oggetti, i contorni si muovono in un’ancora confusa mescolanza.
P. Cézanne, Autoritratto, 1873-76 Musée d’Orsay, Parigi
“Bisogna che la disposizione dei colori rechi in sé questo Tutto indivisibile”. Un Tutto indivisibile che ben si mostra nell’utilizzo dei colori del famoso amico di van Gogh, intrecciati tra loro. Da un colore prende vita l’altro, e viceversa.
Linee, colori. Che ne è dello ricerca spaziale? Nessuna linearità, nessuna prospettiva; in ogni punto converge il centro della sua pittura.
“Il paesaggio si pensa in me e io ne sono la coscienza”. Esemplare: il movimento proprio di un uomo che ha cercato di percorrere il fondamento dell’esperienza muta e solitaria, per poi da lì iniziare a edificare.
P. Cézanne, Acquedotto, 1886. Mosca, Museo Puškin Collezione Ščukin
“Per quel pittore, una sola emozione è possibile, il sentimento di estraneità, e un solo lirismo, quello dell’esistenza sempre ricominciata.” M. Merleau-Ponty, Il dubbio di Cézanne
Il senso dei suoi paesaggi e, più in generale, di ogni sua pro-duzione dice di una nascita, ogni volta eccezionalmente nuova. “Il senso di quanto l’artista sta per dire non c’è in nessun luogo”: questo è il lascito di un’esperienza pittorica senza eguali. Tuttavia un sentimento di angoscia avvolge la sua opera, un mistero religioso come se ad operare fosse la mano del Creatore che crea senza precedenza alcuna. Nei confronti di ciò, appunto, la ragione calcolante e rassicurante non si sente di casa, non è in grado di cogliere l’insondabile irriducibilità di ciò che nasce così, per la prima volta.
R. M. Rilke, Sonetti a Orfeo e Euridice
II, 15
Bocca di fonte, tu che dai, tu bocca
che hai solo una parola, e sgorga pura –
tu maschera di marmo alla figura
mutevole dell’acqua. Gli acquedotti
corrono da lontano. Dai riposi
dell’Appennino, a fiore delle tombe,
portano la tua voce, e si confonde
appena lungo i vecchi orli corrosi
del mento: giù una vasca la raccoglie.
Un orecchio che dorme; tu gli parli
ininterrotta e il marmo ascolta i suoni.
Orecchio della terra. Con sé sola
parla così. Se un’anfora si posa,
sembra alla terra che tu l’abbandoni.
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