Hypothesis di una Mostra in Hangar Bicocca
“Una mostra non è solo una disposizione di oggetti ma anche un atto di invenzione”
Philippe Parreno
Luci, suoni, ombre. Ecco gli ingredienti essenziali della prima antologica in Italia di Philippe Parreno, artista francese di respiro internazionale interessato a sperimentare attraverso i linguaggi provenienti dai media e dal mondo informatico. Radio, televisione, cinema, strumenti delle tecnologie informatiche, vengono utilizzati per esplorare la possibilità di rappresentare la realtà, di tradurla in immagini.
Varcato il tendone che separa la mostra di Petrit Halilaj da quella di Parreno, si entra negli spazi enormi di Hangar Bicocca, ma soprattutto ci si trova immersi in qualcosa di assolutamente disarmante. Parreno, fin da subito, coinvolge e sconvolge il fruitore. Siamo “gettati” in uno spazio in cui si alternano suoni, rumori, immagini, bagliori di luce accecante, momenti di buio totale.
Con la prima opera, Parreno vuole comunicarci un tema centrale nella sua pratica artistica e riconoscibile in tutto il percorso della mostra: l’importanza della collaborazione con altri artisti. Il suo lavoro artistico si costituisce di commistioni intellettuali con artisti, musicisti, architetti, film-maker e scienziati. Si tratta di una messa in discussione del concetto di autorialità, nella quale si può leggere una critica alla concezione tradizionale dell’artista come“genio creatore”. Il genio è colui che si distingue per il suo estro individuale e rivendica la paternità dell’opera. Qui, non è più il genio o il singolo ad emergere: questa mostra è sia personale sia collaborativa.
L’artista stesso afferma:
“Guardavo all’arte parlandone con la gente. Per questo nei miei primi progetti ho collaborato con degli amici. Ed è per questo che lavoravo più all’idea di progetto che di oggetto. […] Si trattava di stare insieme per realizzare progetti insieme”.
E ancora, riferendosi alla mostra “Dancing Around the Bride: Cage, Cunningham, Johns, Rauschenberg and Duchamp” del 2012 di cui è metteur-en-scène, afferma:
“La mostra era una produzione di 5 artisti – Jasper Johns, Merce Cunningham, John Cage, Marcel Duchamp e Robert Rauschenberg- e il tutto ruotava intorno all’interazione fra questi artisti e il fatto che la forma non appartiene a una firma ma a una conversazione poetica che questi personaggi riuscirono ad instaurare. […]Uno stesso soggetto ritornava nell’opera di un artista senza che ci ponesse il problema del copyright; le cose circolavano e si muovevano, e agli occhi di uno studente tutto questo appariva come il “valzer” più eccitante di sempre”.
Il fenomeno della “riproposizione”, che Parreno mette in opera, lo assimila più alla figura di uno scenografo – coreografo – direttore d’orchestra, che sceglie come presentare opere d’arte personali e di altri artisti, mettendole in comunicazione le une con le altre, secondo un progetto.
Come sostiene l’artista: «L’atto di mettere in mostra è anche un atto di produzione di forme. […] Lo spazio espositivo è anche uno spazio di produzione».
Siamo, quindi, all’interno di una conversazione. Motivo per cui troviamo set elements for “Walkaround Time” 1968, di Jasper Johns. Sette strutture trasparenti che riproducono immagini de Il Grande Vetro di Marcel Duchamp, ideate per l’omonima performance del coreografo americano Cunningham.
Ciò che colpisce di queste strutture è il loro essere sospese da terra. Un tale allestimento dà origine ad una fruizione attiva dell’opera, per cui il pubblico stesso transita sotto l’opera.
Elemento importante nella sua pratica artistica è «il piacere di prendere un oggetto senza reinventarlo ma piuttosto negoziandone la modalità con cui diventa pubblico».
Questa scelta nell’allestimento la si ritrova nel percorso principale della mostra che ha inizio con l’installazione Danny the Street (2006-2015), una serie di Marquees, sculture in plexiglass che uniscono luci e suoni.Già utilizzate dall’artista francese in altre mostre, vengono qui riproposte in una sequenza, sotto cui lo spettatore ancora una volta “passeggia”. Si tratta di una vera e propria passeggiata “immersiva”, che coinvolge intensamente dal punto di vista percettivo.
In uno spazio coreografato, il pubblico diventa oggetto di un’esperienza spazio-temporale che lo pone in armonia con l’architettura e le opere.
Ciò che ci viene presentato è un microcosmo: spazio e tempo vengono riconfigurati da una mente, quella dell’artista. A scandire il tempo sono: una composizione musicale,in cui irrompono rumori quotidiani, il gioco di luci delle Marquees e il faro di luce di Another Day with Another Sun. Quest’ultima opera realizzata in collaborazione con Liam Gillick, rievoca, attraversando lo spazio espositivo,il passaggio del sole dall’alba al tramonto, il trascorrere di una giornata.
Ogni elemento: suono, luce, ombra, immagine, partecipa ad una partitura, concorre a creare un organismo, che appare dotato di vita propria. Il confine tra artificiale e naturale si fa labile.
Abbiamo le parti, le opere, e abbiamo un “tutto”, la mostra. Le parti si fondono in un “tutto”, comunicano le une con le altre, si trovano in un rapporto di interdipendenza.
Questo “tutto” funziona alla perfezione, tanto che ci si sente ospiti di un’opera senza alterarla.
«Senza la mostra non esiste l’oggetto, dal momento che è la mostra a diventare l’oggetto».
La scelta attuata da Parreno riflette sul binomio autonomia-dipendenza: ogni elemento della mostra è in sé un’opera autonoma,che alla conclusione dell’esposizione tornerà ad esistere come entità indipendente; ma lo stesso elemento collocato nel “tutto”, alla luce della totalità, assume un nuovo significato: non risulta essere un estraneo, bensì concorre a generare un’armonia che sovrintende un organismo. Risale ad Aristotele l’affermazione per cui l’intero è qualcosa di più delle parti.
Lo stesso artista afferma: «Una collezione di opere è più di un insieme di oggetti artistici, in quanto è capace da sola di produrre una sorta di drammaturgia».
Le immagini, i suoni e le luci di Hypothesis sono azionati da ciò che Parreno definisce “control room”: un insieme di hardware, software e cavi che, come una sorta di unità di controllo, gestisce e armonizza le diverse entità nello spazio e le loro durate.
Ed ora proviamo ad ascoltare la voce dell’artista stesso, lasciandoci coinvolgere dall’invito di godere di questa esperienza inedita d’arte contemporanea.