Due teche per due capolavori. Nel marasma delle meraviglie del TEFAF 2016 (11-20 marzo) brillano due sculture di due gallerie nostrane: un busto anatomico in putrefazione (1699-1700 ca), con tanto di ratto annesso sulla spalla, di Gaetano Giulio Zumbo da Longari; un modellino raffigurante un feroce cavallo marino trattenuto da Tritone (1759 ca), realizzato da Pietro Bracci per la Fontana di Trevi, da Altomani & Sons. Due pezzi eccezionali gelosamente conservati sotto vetro al riparo da sguardi indiscreti che hanno catturato fin dalle prime battute gli sguardi – questi sì discreti e piuttosto interessati – di diversi direttori di musei stranieri.
Realizzati a meno di un secolo di distanza l’uno dall’altro, entrambe le opere sbalordiscono per l’elevata fattura e la qualità tecnica: il bozzetto di Bracci, ad esempio, fu associato per diverso tempo alla mano del Bernini; impressionante invece l’ossessione del dettaglio nel cadavere putrefatto di Zumbo, frutto di un notevole studio lenticolare dell’anatomia.
La potenza esplosiva della vita che fuoreggia dalla terracotta di Bracci; i vermi che divorano la carne, segno della caducità del tempo e della fugacità della vita, nel teatrino di cera policroma di Zumbo. Differente materiale e tematica antitetica si ritrovano in una matrice comune: la forza del linguaggio e la bellezza della forma nel rappresentare tanto la libertà della materia e del soggetto (Bracci) quanto la cruda realtà in decomposizione (Zumbo).
Il TEFAF è anche questo: trovare sotto lo stesso tetto un abate e raffinato ceroplasta siciliano del Seicento che elevò la morte e la scienza anatomica ad arte, assieme ad uno dei più importanti rappresentanti della scuola romana di scultura settecentesca prosecutrice dell’opera di Bernini. Siano personificazioni mitologiche o morbose decomposizioni rimangono due modi impareggiabili di inscenare teatralità nell’arte.
Gaetano Giulio Zumbo
Busto anatomico con vermi
1699-1700 ca
Pietro Bracci
Tritone che trattiene un cavallo (modello per Fontana di Trevi)
1759 ca