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Samuele Bersani: «Io a un talent? Non farò la macchietta di me stesso»

Samuele Bersani

Samuele Bersani
Una coppia si traveste da spaventapasseri. Lui, Samuele Bersani, 45 anni portati da invidia, canta un brano ammonitorio, “La fortuna che abbiamo”, nell’atmosfera surreale di un campo verdissimo, lei, Petra Magoni, titolare di Musica Nuda, duo raffinatissimo, lo segue complice. Si va dal pasoliniano “Uccellacci e uccellini” a Charlot ed è lo stesso Bersani a debuttare nella regia.
Non bastasse, oggi esce un progetto dallo stesso titolo che raccoglie un dvd e due cd dal vivo con ospiti curiosi e intriganti: Dario Argento, Carmen Consoli, Marco Mengoni, Caparezza, Luca Carboni, Piera Degli Esposti fra gli altri. Tutto impeccabile, suoni pieni e maturi ai quali ha partecipato il genovese Gnu Quartet. E un fronte molto compatto: no alla febbre da social, no ai talent musicali, no a un pensiero debole di mode effimere e preconcetti.

Bersani, di solito siamo fortunati o no?
Sì, ma non ce ne accorgiamo. Non mettiamo in atto nemmeno un filo di speranza e diamo poco di noi agli altri. E’ vero, come canto, che ci sono feticisti di se stessi che puliscono i trofei accumulati, ma le persone assennate dovrebbero avere più coraggio, avvicinarsi al bordo del trampolino…

Sono le stesse persone che non hanno visto le derive di destra e sinistra?
Guardi la patente di sensibilità se la sono date entrambe ma ormai siamo alle briciole. Fuor di metafora, nel disco dico che ormai le cose sono tanto cambiate. Le storie interessano poco. E io ho sempre campato di questo.

Non rimpiangerà “Chicco e Spillo”, “Giudizi universali”, “En e Xanas” o “Il pescatore di asterischi”?
Affatto, nel live ci sono tutte. Ma io sono visto come un cantautore all’antica, termine che non vuol dire nulla. A vent’anni parlavano di me perché avevo una bella faccina, finivo più facilmente sulle riviste per adolescenti che nelle recensioni serie.

L’è andata ancora bene visto che ne stiamo parlando…
Sì, ma sono un figlio unico, abituato a essere autosufficiente e le assicuro che è stata dura, in questi anni, evitare di essere rassicurante, replicare sempre le stesse cose. Ma lei da spettatore non si aspetta che il suo artista preferito cambi, la spiazzi un po’?

Ovvio. E lei ci ha provato spesso, una galleria di sballati e mostri come i suoi non si vede spesso nella canzone…
I mostri sono dappertutto, no? Ma oggi sono i cinici, gli indifferenti, chi non prova solidarietà. Siamo circondati da persone, specialmente nel mio mestiere, che si sentono cantanti, scrittori, fotografi, registi. Lo trovo inquietante…

In “Psyco” lei dice: a volte ho più paura di voi che della solitudine…
Pensi che fu rifiutata al Festival di Sanremo, Morandi la trovava malinconica. Io invece penso che un filo di saggezza è anche in chi sta ai margini. E le assicuro che siamo in tanti a provare questa condizione.

Stare ai margini è anche rifiutare di fare il giudice in un talent?
Sì, sa quante volte me l’hanno offerto? Grazie, no. Non voglio diventare la macchietta di me stesso.

E lei riscriverebbe “Occhiali rotti”, dedicata al giornalista Enzo Baldoni, giustiziato dai fondamentalisti islamici?
Quando scrivevo “ho dato la mancia al boia per essere sicuro che mi staccasse la testa in un colpo solo” non potevo immaginare le esecuzioni dell’Is. Certe canzoni, dieci anni dopo, assumono significati imprevedibili. Ma questo è il mestiere che mi sono scelto. Gliel’ho detto: le storie sono più importanti delle mode.

Per gentile concessione de Il Secolo XIX (04.06.2016)

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