Dal 16 settembre, La Galleria Il Ponte di Firenze, per l’inizio della nuova stagione espositiva 2016/2017, presenta un importante nucleo di opere di Marco Gastini, realizzate fra il 1969 e il 1978. Un decennio fondamentale all’interno della lunga carriera dell’artista che, in un suo personale percorso, trova consonanze con la pittura di ricerca degli anni Settanta, la Pittura analitica, definita anche “pittura-pittura”, di cui è sicuramente una punta di diamante.
Le sue “figure” si riducono a punto e linea, proposte quali costanti di una pittura dove «l’attenzione stacca il gesto, l’azione distanzia lo sguardo indifferenziato, lo spazio oppone un altro spazio, a sua volta discontinuo…». I suoi segni, scarni, sensibili, sembrano inseguire le sedimentazioni di un gesto, le tracce di un pensiero pensato, ma non espresso. «Tracciare quei punti per me significa pensare a uno spazio, “vedere” uno spazio»…
Fra le opere esposte vi sono alcuni plexiglas, un supporto peculiare di Gastini per la sua trasparenza, presentato distanziato dalla parete, in cui prima le macchie (1969) e i graffi (1972) paiono “galleggiare” e il durcot crea una nuova superficie tattile su cui si definiscono i segni di Gastini (1973-74); una delle grandi tele bianche del 1973, resa vibratile dai punti di un nuovo spazio; alcune carte japan del 1974 di grandi dimensioni, dove ampie campiture bianche sono luogo di incisioni e segni, fino alle due grandi opere su carta del 1977/78, in cui il segno e la composizione assume struttura e vigore, anticipando l’uso della materia negli anni Ottanta.
Marco Gastini nasce nel 1938 a Torino.
Dopo una formazione tecnico-professionale nel laboratorio del padre marmista, i suoi esordi pittorici avvengono in un clima tardo informale con la realizzazione di quadri astratti densi cromaticamente, per passare ad una pittura meno materica espressa in nudi femminili o paesaggi. Alla fine degli anni Sessanta, l’indagine sul segno, la presenza spaziale, l’azzeramento cromatico, lo portano ad una personale ricerca sulla pittura con sperimentazioni dalle tele dipinte a spray agli smalti e ai floccaggi su plexiglas, legno o vedril . La pittura si addensa su vetri, neon o cassette di plexiglas in macchie di colore di piombo e antimonio. Nei primi anni Settanta, fra i pionieri della “pittura analitica”, si inseriscono lavori su parete, rigorose quadrettature e tracciati elementari in polvere di cemento, carboncino o conté, preceduti da lastre progettuali in durcot su plexiglas. L’artista non perde di vista la tela, intervenendo con esili segni che constatano lo spazio, lo misurano attraverso semplici geometrie.
La sperimentazione procede con l’utilizzo del pigmento “pearl white”, madreperla, dal 1977 applicato su tele, carte o sul muro, rappresentando l’uscita dal “non colore”. Alla fine del decennio la pittura ormai sconfina dalla superficie della tela, della carta o degli altri supporti, e conquista la parete; al contempo, l’utilizzo di deiversi materiali quali la pergamena, il vetro, i metalli quali ferro, rame e stagno, gli elementi organici come il carbone, i vegetali simili a carrube, ed in seguito la pietra, siglano la sua cifra stilistica (il suo linguaggio artistico). Talvolta accumulati in un’unica opera per le loro tipicità formali a favore di suggestioni emotive. All’inizio degli anni Ottanta viene recuperato il colore, l’impasto pittorico più complesso, materico e cromaticamente acceso, con pigmenti e leganti. In questo decennio, e a seguire, tante le personali e collettive in Italia e all’estero che ne confermano la fama artistica.
Negli anni Novanta, l’artista realizza lavori su grande scala a cui si affianca una produzione caratterizzata dall’uso del ferro. Dal 2005, l’artista ritorna al dialogo con lo spazio della tela singola, grande: una serie di lavori si caratterizza per un fregio composito nella parte alta (con la presenza anche della terracotta), mentre nella parte bassa si stende una velatura pittorica sui toni del bianco, attraversata da tratti finissimi, a ricordo dei lavori degli anni Settanta. Le tele, come già in passato, vivono di pieni e vuoti, di estremamente leggero contro estremamente pesante, e sembrano sostenersi da sé nel vuoto. Cromaticamente predomina il blu, un pigmento blu oltremare utilizzato con la spugna, abbinato al nero: insieme, si staccano dall’impasto di bianchi spalmato con le mani e si protendono idealmente verso gli elementi tridimensionali. Frequente l’impiego dell’alluminio, fuso in calchi, dell’ardesia e del vetro, materiali che nei lavori ultimi sono conficcati di taglio nella tela. La pittura inonda lo spazio, ma si fissa nella percezione di un istante sul quadro, immobilizzata da lame di pietra; si addensa in zone di colore e ombre di materia.
quindici opere di
MARCO GASTINI
1969-1978
un decennio
Galleria Il Ponte – Firenze
16 settembre – 4 novembre 2016