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Arrival: fantascienza esistenziale e cinema d’autore. Recensione

Arrival

Arrival Arrival: fantascienza esistenziale e cinema d’autore nel nuovo film di Denis Villneuve.

Arrival è il nuovo film di Denis Villneuve (Prisoners, Sicario), regista canadese al suo sesto lungometraggio. Tratto dal racconto Storia della tua vita, incluso nell’antologia di racconti ‘Storie della tua vita’ (Stories of Your Life) di Ted Chiang, è stato sceneggiato da Eric Heisserer e ha come protagonisti Amy Adams (American Hustle, Animali Notturni), Jeremy Renner (The Town, Mission: Impossible – Rogue Nation) e Forest Whitaker (The Butler).
Il film è stato presentato il 2 settembre 2016 in concorso alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ha ottenuto otto nomination ai premi Oscar, tra le quali Miglior film, Miglior Regia e Miglior fotografia.

Dodici astronavi extraterrestri, appaiono in tutta la Terra. Allo scopo di tentare una comunicazione con i nuovi arrivati il governo degli Stati Uniti forma una squadra d’élite, a capo della quale vengono posti l’esperta linguista Louise Banks (Amy Adams) e il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner). Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una guerra globale, Louise e il suo gruppo affrontano una corsa contro il tempo in cerca di risposte. Chi sono gli alieni? Perché sono venuti? Cosa vogliono da noi?

Arrival La prima volta di Denis Villeneuve in assenza di gravità è di quelle che non si dimenticano. Il tema del contatto con gli alieni è un argomento con il quale il cinema si confronta da molto tempo. Grandi registi del passato come Kubrick e Tarkowsky, hanno lasciato in eredità grandi capolavori con i quali oggi è impossibile non fare i conti, inventando per il cinema di fantascienza un’estetica e una nuova narrazione.

Dei tanti registi che hanno provato a riscattare l’eredità dei grandi maestri nessuno si é mai avvicinato a essi come Denis Villeneuve, il quale con Arrival riesce dove già importanti autori come Nolan, Cuarón e Scott, nonostante i valorosi tentativi, avevano fallito. Come la fantascienza di Stalker (Tarkovsky da un romanzo di Arkadij e Boris Strugackij) anche quella Arrival sfugge alle classificazioni, essendo sì un’opera con gli alieni di mezzo, ma si pone soprattutto come una riflessione sullo sfondo che accompagna i personaggi. In entrembe le storie ci troviamo di fronte a una visita aliena, contemporanemante in diverse parti del globo: 6 in Stalker, 12 in Arrival; ignoti i motivi, ma il futuro è segnato ineluttabilmente (o forse, soprattutto nel caso di Arrival, lo era sempre stato).

La storia è quindi un veicolo, forse un pretesto, per parlarci della condizione dell’uomo e della fondamentale importanza del confronto, della penna prima della spada. Alieni ed esseri umani non si fronteggiano come bestie o nemici, ma comunicano come persone (come spesso neanche i terrestri sanno fare). Arrival Nonostante il budget e il cast da grande produzione, lo stile e la personalità dello sguardo sono quelli di un autore che lavora per una casa di produzione indipendente. Il regista canadese mette in mostra un approccio rigoroso, abbandonandosi alla storia e lasciando che siano le atmosfere (alcune ricordano i flashback tipici della filmografia moderna di Terrence Malick) a dettare il ritmo, complice una fotografia livida ma emozionale, propria di una forza e di una sensibilità rare, nelle quali mistero e realtà si fondono e si rilanciano meravigliosamente.

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