Fino al 18 giugno 2017, il Museo Accorsi-Ometto di Torino ospiterà una mostra dedicata al “decennio cruciale” dell’arte italiana, quei dieci anni che corrono dal Manifesto dei pittori futuristi (1910) al primo dopoguerra, Dal Futurismo al Ritorno all’ordine.
“Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!”, largo al Futurismo storico. Marinetti, Boccioni, Russolo, Carrà, e Severini sono i protagonisti indiscussi della prima parte della mostra. Mentre Luigi Russolo inventa gli “intonarumori”, i primi due scrivono una “lettera futurista” (1915) a quattro mani, rivolgendosi al poeta ed amico Cangiullo con un affettuoso “caro fesso”. Non c’è da stupirsi: è il gergo tipico della rivista d’avanguardia Lacerba, la cui intestazione su carta stampata è ben visibile nell’opera Lacerba e bottiglia (1914) di Carlo Carrà, un collage chiaramente ispirato alle nature morte di Ardengo Soffici (Popone e fiasco di vino, 1914; Natura morta, 1915).
Sarà proprio quest’ultimo, il fondatore di Lacerba, a ricevere un celeberrimo ceffone da Umberto Boccioni. Tralasciando la “cazzottatura futurista” tra i due artisti, ricordiamo un altro “schiaffo” sferrato da Boccioni, stavolta contro il dogma della bellezza accademica. E’ il caso di Antigrazioso (1912-1913), un ritratto della madre che testimonia appieno la sua ribellione alla “grazia” classica. “Antigraziosa” è anche la Danzatrice (1916) dipinta da Enrico Prampolini, una ballerina che applica fedelmente il Manifesto della danza futurista, in cui Marinetti esalta il ballo “disarmonico” e “sgarbato”.
L’Italia è in guerra (“sola igiene del mondo”) e l’avanguardia futurista corre alle armi: Marinetti e Boccioni sono fra i primi ad arruolarsi come volontari. Antonio Sant’Elia li segue: da architetto del movimento, è colui che progetta il “cantiere tumultuante” della Città Nuova. Tuttavia, disegni avveniristici come Studio per edificio (1912) non verranno mai realizzati poiché Sant’Elia sarà ucciso al fronte; due mesi prima, cadendo accidentalmente di cavallo, era morto l’amico Boccioni.
Con la loro scomparsa, volge al termine la pagina “eroica” del movimento e comincia il cosiddetto “Secondo Futurismo”. Nel manifesto della Ricostruzione futurista, Giacomo Balla e Fortunato Depero dichiarano che l’arte non debba più riprodurre la realtà, bensì “ricostruire l’universo rallegrandolo”.
In Linee forza di paesaggio + giardino (1918), Balla dimostra che non esiste una sola realtà – quella visiva – ma è compito dell’artista, piuttosto, raggiungere una sintesi pittorica tra le diverse realtà simultanee, tra le varie sensazioni sincroniche. Non è più il corpo che si muove ad essere protagonista, ma il movimento stesso o, meglio ancora, “l’immagine psicologica del moto” (Argan).
Qual è, dunque, il movimento più impetuoso nel 1916? La guerra, naturalmente: perciò Depero sceglie un Paesaggio Guerresco come teatro dinamico di forme e di linee sempre più astratte, nel quale “esplosioni giallo e nero e tricolori” scatenano una violentissima spinta centrifuga.
La stessa spinta che muove alcuni giovani artisti ad allontanarsi dal radicalismo futurista: il Martini simbolista dei Misteri (1914-1915) e l’espressionistico Venditore di pane (1908-1909) di Lorenzo Viani; non meno emblematici i Ricordi d’infanzia (1916) di Carrà e i fumettistici Intellettuali al caffè (1916) di Garbari, entrambi esempi di quel primitivismo italiano che ritorna alle radici- siano esse “basse” e popolari (Viani) o piuttosto alte e rinascimentali (Oppi)
Lo stesso moto centrifugo coinvolge anche i Ribelli di Ca’ Pesaro come Casorati (Marionette, 1914) nonché i secessionisti di Roma e Bologna, tutte correnti alternative al futurismo “modernolatrico”. Intanto, insieme a De Chirico e De Pisis, Carrà getta le basi della pittura metafisica, rivelando “l’altra faccia della modernità”.
La guerra è finita, linee e volumi si ricompongono: è il momento di un Ritorno all’ordine, da cui il nome di una corrente artistica tesa a riaffermare i “Valori Plastici” e a recuperare la classicità smarrita. Ottone Rosai riprende Masaccio (Donne alla fonte, 1922), mentre Gino Severini (Studio per Maternità, 1920) ed Achille Funi (La sorella Margherita, 1920) rievocano gentili Madonne rinascimentali.
È il preludio del Novecento pittorico italiano, la reazione artistica a tutte le “stravaganze e le eccentricità” delle avanguardie. Infine, tanto sui campi di battaglia quanto nei musei, ritorna “la quiete dopo la tempesta”.
Informazioni utili
Dal Futurismo al Ritorno all’ordine – Pittura italiana del decennio cruciale 1910-1920
A cura di Nicoletta Colombo, in collaborazione con Studio Berman di Giuliana Godio
Dal 2 marzo al 18 giugno 2017
Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, Torino