Victoria, un tour de force cinematografico che si butta a capofitto in una nottata berlinese mozzafiato, al seguito di una protagonista indimenticabile.
«And that was a tour de force! Tour de force, dahlings! -silenzio- Do you know what that means???…Does anybody know what tour de force means?» così Mariah Carey commentava una performance particolarmente apprezzata di una concorrente di American Idol, qualche anno fa. Victoria è questo, un vero e proprio tour de force, di regia, di sceneggiatura e di recitazione. È una scommessa vinta al 100%.
Victoria, una ventenne spagnola che vive da pochi mesi a Berlino, incontra fuori da un locale notturno Sonne e i suoi amici. Si definiscono berlinesi “veri” e possono mostrarle la città ignota agli stranieri. Un incontro fra sconosciuti a notte fonte. Dei ragazzi sbronzi? Dei balordi? Dei malintenzionati? Victoria non sembra preoccupata, dà loro corda. Sono cordiali e divertenti. Quattro chiacchiere, una birra.
Inizia così Victoria, un unico piano sequenza di due ore in cui la telecamera segue le avventure di questo gruppetto. Due ore che cambieranno drasticamente le loro vite. La situazione difatti, ben presto, precipita.Presentato in concorso al Festival di Berlino nel 2015 finalmente arriva anche in Italia, distribuito da Movie Inspired, Victoria, del regista tedesco Sebastian Schipper.
Nell’arte del piano sequenza, con esiti e modi (trucchi) diversi, si sono cimentati anche altri (grandi) registi, il solito Hitchcock di Rope – Nodo alla gola e il solito Sokurov di Arca Russa – per citare i due nomi più illustri che hanno voluto realizzare un intero film con un’unica ripresa in soluzione di continuità (Hitchcock in realtà in 8 take montati come fossero uno unico). Poi ci sono quelli che all’interno di film con un montaggio più tradizionale hanno inserito delle scene in piano sequenze particolarmente brillanti, da Iñárritu in Birdman a Cuarón in Gravity e I Figli degli uomini tra i più recenti; più in là nel passato troviamo -tra gli altri- De Palma (Omicidio in diretta), Scorsese (Quei bravi ragazzi) e Scola (Una giornata particolare).
l rischio è quello del virtuosismo: di fronte a una sfida tecnica cadere nel “frigidismo” è un attimo. Victoria invece supera brillantemente questa prova e Sebastian Schipper orchestra in maniera brillante tutti gli aspetti produttivi.
Una sceneggiatura di sole 12 pagine, molti dialoghi improvvisati e un’unica ripresa: dalle 4:30 alle 7:00 del mattino. Con una promessa ai produttori: in caso di risultato non soddisfacente si sarebbe passati al piano B, il montaggio. Non ce n’è stato bisogno.
Quello che colpisce di quest’opera è la coesione formale di tutti gli elementi: regia, sceneggiatura e recitazione convergono in maniera precisa e bilanciata per restituire un film impeccabile, coraggioso e radicale. È una storia al contempo audace e introspettiva. Gli attori forniscono delle performance spontanee e travolgenti, animalesche quasi, tratteggiando alla perfezione i caratteri e le psicologie dei protagonisti coinvolti in questa folle nottata. La storia, nella prima parte, si evolve in maniera più rilassata, spingendo lo spettatore passo dopo passo un po’ al di là di un’ideale confort zone. Nella seconda parte invece si preme l’acceleratore fino alle più estreme conseguenze e l’adrenalina sale alle stelle.
Il film ci porta a conoscere la protagonista sotto una luce nuova man mano che la storia procede. Chi è Victoria?
Questa è la domanda attorno a cui ruota il film. La sua non è un’identità misteriosa, ma lo è la sua psicologia: è un’ingenua? Una ragazza incosciente? Ha mille occasioni per fermarsi, per tornare indietro, per scappare. Victoria non scappa, è a tutti gli effetti un’eroina tragica -nel senso classico del termine- e ci trascina con lei in due ore mozzafiato.
Victoria è l’esempio ci un cinema coraggioso e vitale, di cui godere al buio della sala cinematografica. Un cinema pieno di trucchi e inventiva, avventuroso e spericolato. È l’esempio di un cinema vivo.