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From Selfie to Self-Expression. Fenomenologia dell’autoritratto, da Rembrandt allo smartphone

Autoritratto di van Gogh Autoritratto di van Gogh
L'Autoritratto di Courbet
L’Autoritratto di Courbet

L’ha fatto Picasso, dal viso sbarbato ed il petto robusto. Prima ancora, ci aveva provato Van Gogh, con la benda tesa a coprire un orecchio. A precederli, era stato Rembrandt, con tavola e pennelli a portata di mano; ma il primo in assoluto può darsi sia stato Velázquez, che con fare beffardo sbuca da dietro la tela. Ciascuno di questi maestri, come tanti altri dal Seicento al giorno d’oggi, si sono fatti almeno un selfie. Lo propone la Saatchi Gallery con la mostra From Selfie to Self-Expression, aperta al pubblico dal 31 marzo al 30 maggio 2017. Gli autoritratti di Picasso, Van Gogh, Rembrandt e Las Meninas di Velázquez sono riprodotti su grandi schermi montati al muro – le tele del ventunesimo secolo. Un meccanismo che imita il movimento swipe delle nostre dita sull’iPhone trascina via e rimpiazza un’immagine dopo l’altra: e così il viso asciutto di Schiele scompare, emerge Kahlo dall’espressione austera e dopo qualche secondo spunta Courbet con le mani tra i capelli e l’angoscia negli occhi.

Autoritratto di Rembrandt
Autoritratto di Rembrandt
Tracey Emin, I've got it alla
Tracey Emin, I’ve got it alla

Identificando l’autoritratto come antenato del selfie, la mostra tenta di redimerne l’autorità storica e affermarlo come autentica forma artistica. Ad affiancare le riproduzioni dei dipinti, segue una serie di autoritratti fotografici: Chuck Close, per esempio, che si è immortalato stringendo la sigaretta tra le labbra, o Tracey Emin che si presenta seduta a gambe aperte con una manciata di soldi. Il percorso dal passato al presente sembra lineare: la mostra, in apparenza, lo ricostruisce, in realtà lo inventa.

C’è una differenza sostanziale tra gli autoritratti in olio su tela e quelli scattati con la macchina fotografica. Dipinto, Picasso è più grande di se stesso. I lineamenti sono marcati: le sopracciglia rese con due archi scuri e sottili, gli occhi evidenziati da contorni ovali anneriti. Rispecchiano il tipo mediterraneo che era l’artista, ma si possono anche interpretare come indizi dello stile artistico che pervade quasi tutti i suoi dipinti, calcati e geometrici. Una stampa dai motivi orientali fa da sfondo al viso di Van Gogh: può essere un cenno alla propria passione per questi lavori, che collezionava, ma un’allusione ancor più delicata dev’essere colta. Van Gogh troverà nell’essenzialità di artisti giapponesi come Hiroshige o Utamaro delle linee guida per opere tarde come Il Seminatore. Il disegno cinese abbozzato vicino allo schizzo di sé potrebbe simboleggiare questa esotica fonte d’ispirazione. L’autoritratto di Rembrandt è altrettanto enigmatico. Un filone di studiosi sostiene che l’artista soffrisse di perdita di stereopsi, un difetto della vista che impedisce la corretta percezione della profondità. La tavolozza, in effetti, sembra sottile e leggera, la punta dei pennelli quasi evanescente… che sia vera o no la teoria, è avvincente accingersi a risolvere il mistero proposto dal pittore del Seicento. Nello stesso secolo, Velázquez dipinse Las Meninas su commissione, volto a lodare la corte spagnola di Filippo IV. Si presenta nell’esecuzione degli ordini, mentre ritrae i sovrani, ma proprio loro riduce a due fantasmi in uno specchio. Può darsi che il re Filippo abbia voluto vedersi così; ma è altrettanto affascinante pensare che in un ritratto di corte si annidi un germe silenzioso di ribellione.

Autoritratto di van Gogh
Autoritratto di van Gogh
Selfie donna di Varsavia per chirurgia
Selfie donna di Varsavia per chirurgia

Velázquez, Rembrandt, Van Gogh, Picasso – i pittori sono in grado di suggerirci cose appartenenti ad un’intimità non visibile e che può essere solo evocata e immaginata. Anche la fotografia raggiunge ed esprime il carattere profondo del soggetto; ma lo fa restando inequivocabilmente legata all’immediatezza, al momento dello scatto. La foto di Chuck Close comunica il cinismo di un personaggio abituato alla presenza della cinepresa. Ci riesce perché ferma ed immortala un istante: il mozzicone che si è fatto pesante e sta per cadere, Close in un momento qualsiasi, tra un tiro e l’altro. La foto di Tracey Emin è un manifesto della donna che nella scompostezza ha trovato il suo mestiere: sono attimi di irrequietezza, repentina mette tutto in disordine. La fotografia ha il potere della sintesi, e forse per questo risulta meno sognatrice della pittura: rende le cose tangibili, facendo in modo che la mente si muova a pari passo con l’occhio.

Las Meninas di Velazquez
Las Meninas di Velazquez
Chuck Close, Big self portrait, 1967-8
Chuck Close, Big self portrait, 1967-8

Ai selfie d’artista in mostra alla Saatchi se ne aggiungono molti che non vantano una firma famosa. La galleria, in collaborazione con la società cinese di telecomunicazioni Huawei, ha lanciato una sfida che migliaia di persone hanno accettato. Dei quattordicimila selfie messi in rete con #SaatchiSelfie, quelli giudicati più originali sono stati selezionati per essere esposti nel tempio dell’arte contemporanea. Un ragazzo sorride e sotto di lui i grattacieli di New York diventano grandi come formiche; un circense a Mosca fa apparire un maialino da un cappello; una donna a Varsavia sfoggia il petto tratteggiato a pennarello blu, un secondo prima dell’intervento di chirurgia plastica. Ogni cornice scaraventa chi guarda in una situazione estrema, strana, divertente, ed in una parete si viaggia mezzo mondo: si può arrivare lontano, ma fin lì soltanto. Se l’autoritratto fotografico è legato all’immediatezza, il selfie ne è l’espressione più compiuta.

Picasso, Autoritratto
Picasso, Autoritratto
Selfie circense
Selfie circense

A vincere la competizione è stato il selfie intitolato The Substitute (Holiday) di Dawn Woolley. Lei, però, nel suo selfie non c’è; o meglio, c’è una fotografia del suo corpo che, Dawn spiega, “agisce come un sostituto che mi rende invisibile”. La Woolley ha vinto perché con uno scatto, in un colpo solo, si è svincolata dalla prigionia del momento fotografato. Il suo selfie si comporta più da dipinto che da fotografia: gli occhi s’illudono e la mente divaga. Lei ce la immaginiamo oltre il suo ritratto che guardiamo. L’immancabile hashtag #SaatchiSelfie accompagna la foto: è il caso di una di noi che ha usato questo simbolo a forma di piccola cella per scarcerarsi.

Tutte le informazioni: http://www.saatchigallery.com/selfie/

The Substitute (Holiday) di Dawn Woolley, selfie vincitore della competizione
The Substitute (Holiday) di Dawn Woolley, selfie vincitore della competizione
Autoritratto di Frida Kahlo
Autoritratto di Frida Kahlo

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