Per la prima volta dopo la sua apertura, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci presenta al pubblico una parte del proprio patrimonio artistico con la mostra Dalla caverna alla luna. Viaggio dentro la collezione del Centro Pecci. La mostra, curata da Stefano Pezzato, comprende le opere di circa 60 artisti italiani ed internazionali, raccolte negli utili 30 anni di attività del Centro Pecci. Nella mostra sono presenti anche opere mai esposte prima, insieme ad altre di recente acquisizione, come l’imponente installazione di Henrique Oliviera, Transcorredor (2016), presente nella precedente mostra La fine del mondo.
Il percorso espositivo si articola in 8 sezioni che scandiscono il viaggio dell’osservatore, accompagnandolo alla scoperta della nascita e dell’evoluzione della collezione. Queste generano delle pause, stazioni nelle quali l’osservatore deve sostare, osservare e interagire con ogni gruppo di opere. Il viaggio, che rappresenta simbolicamente anche un itinerario attraverso le metamorfosi di alcune delle espressioni artistiche più importanti dal secolo scorso fino ad oggi, inizia simbolicamente con la Canoa (1984) di Gilberto Zorio, che si erge nello spazio come un totem, indicando la strada per iniziare il percorso. La prima stazione si sofferma sulla fotografia e sul video, due delle prime espressioni con cui il Centro Pecci ha dato vita alla sua collezione. Queste permettono di osservare le tracce lasciate dall’uomo nell’ambiente circostante, come testimoniano le fatiscenti architetture fotografate da Vahram Aghasyan nella serie Ghost cities (2005), e le indagini sul corpo di Fabrizio Corneli, con i giochi di luce prodotti dall’opera Pelle di Luce I (2001/2011). Da qui si procede, entrando nel vivo della collezione: nella sezione Passaggi le opere si staccano dalle pareti ed invadono lo spazio proiettandosi verso lo spettatore, talvolta inglobandolo. Qui fanno il loro ingresso le opere di Jannis Kounellis e Enzo Cucchi, rispettivamente Senza Titolo (1985/1995) e Senza Titolo (Montagna) (1989), massimi esponenti dell’Arte Povera e della Trasavanguardia, che con i loro interventi portano lo spettatore a contatto con gli albori della civiltà grazie all’uso di materiali grezzi e primordiali come la tela, il ferro, il fuoco. Ma è l’enigmatica Caverna dell’antimateria (1958-1959) di Pinot Gallizio a costituire un passaggio fondamentale per l’osservatore. All’interno di questo ambiente l’artista smaterializza lo spazio attraverso l’impiego di rotoli dipinti che generano una realtà ulteriore, in cui la pittura esplode perdendo la sua matericità, spargendosi su tutte le superfici.
Una volta uscito dall’antimateria, l’osservatore è pronto per continuare il suo viaggio attraverso la sezione delle Evoluzioni. La materia continua il suo percorso evolutivo assumendo molteplici forme e l’opera d’arte diventa un ibrido di materiali diversi: installazione, scultura, pittura, materiale organico ed inorganico si fondono dando vita ad opere uniche nel loro genere. Qui fa il suo ingresso La Spirale Appare (1990) di Mario Merz, opera d’arte totale che si snoda attraverso lo spazio ed in cui l’immagine della spirale, simbolo di forza vitale e dell’infinito, diventa strumento grazie a cui unire la natura, rappresentata dalle fascine, con la materia di origine industriale, gli archi metallici ed il neon.
Giunto a metà del suo viaggio, lo l’osservatore continua il suo cammino attraverso la collezione giungendo ad un momento fondamentale: vi è un passaggio dalla materia allo studio dell’uomo, del corpo, della sua identità e del suo ruolo nello spazio. L’opera simbolo di questa sezione, intitolata Riflessi, è costituita da Architettura riflessa (1970) del gruppo Superstudio. Questa riflette il modello alternativo di vita sulla Terra che il collettivo aveva progettato negli anni 70, come se fosse una sorta di modello precursore del World Wide Web: il gioco di specchi fornisce una rappresentazione infinita della Supersuperficie, architettura totale in grado di connettere tutto il globo e ogni suo abitante. Una superficie abitabile e modificabile grazie alla capacità degli istogrammi di scomporsi e comporsi secondo qualsiasi esigenza. Indagando le opere esposte all’interno della sala, l’osservatore non può non imbattersi in Uomo nudo di schiena (1962/1987) di Michelangelo Pistoletto: il suo quadro specchiante diventa un’occasione in cui arte e vita si uniscono dando vita ad un momento unico ed irripetibile. Il quadro si attiva, fondendosi con lo spettatore in un unicum che permette a questo di indagare non solo l’opera ma anche se stesso.
Al centro vi è inoltre l’opera Multi-Bed #1 (1992) di Vito Acconci, installazione composta da due letti collegati tra loro in cui, grazie ad un gioco di riflettori e specchi, si modifica il letto nella sua comune funzione di luogo di riposo e piacere, diventando uno spazio freddo, costituito da materiali industriali anonimi, ma in cui si invita all’esplorazione del proprio corpo. Il viaggio continua attraverso una serie di opere che diventano esperienza di sconfinamento. Sconfinamenti è infatti il nome di questa sezione, in cui l’opera inizia a cambiare le proprie fattezze ed intenzioni, come dimostrato dall’installazione di Paolo Scheggi, Intercamera plastica (1967). In questo ambiente l’osservatore è chiamato ad esperire lo spazio e ad immaginare delle possibili funzioni, riprogettandolo a proprio piacimento. Qui, trova il suo posto anche l’opera Concetto spaziale. Attesa (1960) di Lucio Fontana, il cui taglio netto sulla tela monocroma evoca uno spazio ulteriore: questo gesto invita l’osservatore ad andare oltre lo spazio fisico della tela, indagando così le possibilità di uno spazio infinito che il taglio suggerisce.
A questo punto il viaggio sta per giungere al termine, ma le opere qui esposte suggeriscono allo spettatore l’apertura di scenari possibili, in cui l’immaginazione deve procedere libera. Scenari, è infatti il titolo dell’ultimo passaggio del percorso espositivo che, partito dalla caverna e dall’impiego primordiale della materia, è giunto alla Luna, installazione di Fabio Mauri realizzata nel 1968. L’osservatore è invitato ad entrare all’interno di un paesaggio stellare la cui superficie è cosparsa da una miriade di pallini bianchi di polistirolo. Al suo interno ci si può muovere liberamente: si può passeggiare, stare seduti, addirittura nuotare, proprio come se stessimo fluttuando nello spazio. L’immaginazione deve correre libera, immaginando scenari e spazi infiniti.
Una volta fuori dall’ambiente lunare, il percorso attraverso la collezione del Centro Pecci si conclude conducendo il pubblico attraverso il paesaggio stellato di Carlos Garaicoa. De comò la Tierra se quiere parecer al cielo II (2016), progetto site specific esposto in precedenza per la mostra La fine del mondo, rappresenta L’Avana, città natale dell’artista, che assume la doppia valenza di paesaggio urbano notturno e cielo stellato. Lo spettatore è libero di percorrere la città perdendosi tra le strade illuminate della metropoli immaginandone gli spazi, oppure sentirsi vicino al suo cielo stellato, potendo quasi toccare le stelle.
Con la mostra Dalla caverna alla luna il Centro Pecci propone un peculiare percorso espositivo articolato come una complessa e ricca narrazione attraverso parte della sua collezione. Attraverso questo viaggio, scandito da pause e momenti di raccolta che stimolano il pubblico ad interagire con le opere, si comprende non solo l’evoluzione del Centro e del suo patrimonio, ma anche quella subita dall’opera d’arte, che grazie alle molteplici espressioni artistiche sviluppatesi nel corso del 900 ha assunto le forme più disparate, estendendosi attraverso lo spazio, modellandolo ed inglobandolo, chiedendo anche all’osservatore di stabilire dei legami.
Informazioni utili
Dalla caverna alla luna. Viaggio dentro la collezione del Centro Pecci
Dal 8 Aprile 2017 al 28 Gennaio 2018
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci
Viale della Repubblica 277, 59100, Prato
https://www.centropecci.it