“Ytalia” è la mostra che ha inaugurato il 2 giugno 2017 a Firenze. Il titolo richiama un’iscrizione di Cimabue, che già nel Duecento fa riferimento ad una identità italica, sintesi della passata bellezza pagana e della presente spiritualità cristiana. Ancora oggi, a renderla viva, sono le contraddizioni, i poli di cariche opposte che attraversano il paese facendosene collante, ponte tra memoria storica e desiderio di avanguardia. “Ytalia”è un progetto che vuole concretizzare in un’esposizione questa contraddittoria artisticità italiana, instaurando un dialogo tra contemporaneo e tradizione. Oltre centro opere di dodici artisti italiani sono disseminate per la città, occupandone nove luoghi simboli d’arte e cultura.
Il fulcro di Ytalia si arrampica sulla collina di Boboli, stabilendosi nel Forte di Belvedere. Sotto agli occhi della città, davanti al caldo orizzonte ondeggiante, Gino de Dominicis fa adagiare l’opera che presto diventa simbolo dell’intera esposizione. “Calamita cosmica” è un monumentale scheletro antropomorfo, realizzato in ferro, gesso, vetroresina e polistirolo. Sdraiato sulla schiena, nel mezzo di un’arena terrosa, sembra essere il frutto di uno scavo archeologico, reperto secolare riportato alla luce. Elemento di disturbo, oltre alle titaniche dimensioni, è il naso a becco d’uccello, che in qualche modo proietta nel soprannaturale, spinge in una dimensione alternativa. Segno della connessione con “l’altro” è l’asta dorata in bilico su una delle falangi della creatura. De Dominicis mira a creare un punto di giunzione tra uomo e cosmo, uniti indissolubilmente da un’aura magnetica.
Il rapporto tra l’uomo e il mondo è il leitmotiv di molti dei lavori di Ytalia. “Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più” è l’opera attraverso cui Giovanni Anselmo accompagna lo spettatore verso la comprensione, o almeno la contemplazione, dell’universo. Pietre squadrate sono disseminate qua e là sotto il cielo, a disposizione del visitatore: gradini per avvicinarsi “di una spanna” alle stelle e ai misteri della galassia.
Luciano Fabro in questa sede riesce bene ad esplicare il concetto di scambio tra passato e presente, umanità e natura, con “Zefiro”. Scultura in marmo, è un sentiero diretto al cuore della classicità. La sua forma, tuttavia, svettante ed affilata, si apre a nuove interpretazioni: personificazione del vento, figura astratta e lontana dal naturalismo classico, è la chiave di lettura per comprendere la viva tensione tra gli estremi storici e artistici.
Concettualmente non lontano appare Merz, con una sua Igloo fatta di pietre e ferro. Archetipo abitativo, riparo ancestrale, le Igloo di Merz si legano all’esistenza primitiva e alla comunione dell’uomo con la natura, rapporto continuo di dono e privazione. In questo caso l’opera non si esaurisce in se stessa, ma si apre al dialogo con le cupole medicee che frastagliano lo skyline cittadino. Si tesse, di nuovo, un fil rouge che cuce l’arcaico al contemporaneo.
Nunzio interviene al Forte di Belvedere con delle installazioni in acciaio che, nel solco della tradizione della land art americana, si confrontano con l’ambiente. L’opera accoglie il paesaggio circostante al proprio interno, grazie alla particolare lavorazione delle lastre di acciaio che la compongono: un ricamo che dona trasparenza offrendo alla natura la possibilità di penetrare visivamente nel cuore della scultura.
Le infinite letture che congiungono uomo, arte e natura trovano un’ulteriore decifrazione nelle opere di Marco Bagnoli. Con “Ascolta il flauto di canna” Bagnoli mette in scena la tensione spirituale che nella sua visione connette l’artista al “cuore della realtà”. Un tubo di alluminio, dipinto di rosso e dall’aspetto di un ramo di bambù è attraversato da un rivolo d’acqua, il cui suono impercettibile è accompagnato da quello inconfondibile del canto delle rane. L’opera diventa rappresentazione metonimica della natura, grazie a cui lo spettatore può tentare di addentrarsi nella sua comprensione. Il forte di Belvedere viene stravolto e arricchito, sembra avvicinarsi alla dimensione di sito magico, uno Stonehenge contemporaneo. I megaliti sono diventate opere d’arte, senza perdere il loro fine ultimo di collegamento tra l’uomo e qualcosa di altro.
Ytalia non si esaurisce al Forte di Belvedere, ma coinvolge anche la Galleria di Arte Moderne di Palazzo Pitti, la Basilica di Santa Croce, il Museo del Novecento, la Galleria degli Uffizi, il Museo di Palazzo Vecchio e la Galleria Palatina. Le opere saranno visitabili fino al 1 ottobre 2017.
Tutte le informazioni: http://ytalia.musefirenze.it/la-mostra/
finalmente GINO !!