In occasione dell’acquisto del doppio ritratto dell’Arciduca Ferdinando e dell’Arciduchessa Maria Anna, eseguito da Raphael Mengs, Palazzo Pitti dedica al pittore tedesco una piccola ma raffinata retrospettiva di ritratti della famiglia granducale, commissionati da Carlo III, padre della Granduchessa Maria Luisa. Sala delle Nicchie, fino al 7 gennaio 2018. www.gallerieuffizimostre.it
Firenze. Pur avendo persi i fasti rinascimentali, la Firenze lorenese riacquistò almeno in parte il rango di capitale, inserita in un contesto illuminista grazie all’avvedutezza del Granduca Pietro Leopoldo, le cui efficaci riforme risollevarono tutta la Toscana dalla crisi socioeconomica che l’affliggeva dalla seconda metà del Seicento. Anche un pittore di prospettiva europea come il boemo Anton Raphael Mengs (Aussig, 1728 – Roma, 1779), formatosi in Germania ma attivo anche in Spagna, Inghilterra, e Italia Centrale, avvertì il fascino di Firenze, dove si recò nel 1770 sulla strada per Roma, città nella quale aveva già soggiornato negli anni Cinquanta del secolo, e studiato Raffaello assorbendone la lezione al punto da essere considerato il suo ideale prosecutore settecentesco; era rimasto affascinato anche dagli studi che Winckelmann stava conducendo sull’antichità classica. Questa fascinazione, unita a quella per l’Urbinate, si tradussero in una pittura di gusto neoclassica, priva però degli accademismi che caratterizzano, ad esempio, Jacques-Louis David.
Mengs possiede una grazia “divina” che si contrappone ai trionfi del Barocco e del Rococò. Ideale antesignano dei Preraffaelliti, rifuggiva le soluzioni compositive troppo cariche, prediligendo uno stile assai sobrio, assolutamente antiteatrale, che ricorda la ritrattistica rinascimentale. Questo conclamato talento gli era valso la nomina a pittore di corte di Madrid così come di Dresda, nonché di quella pontificia a Roma. Ambiti nei quali aveva dovuto trovare un compromesso con le esigenze del potere, che aveva nella pittura una potente arma propagandistica; da qui, il necessario compromesso con gli orpelli regali, pose scenografiche. Una pittura tradizionale, poco in tono con le convinzioni artistiche di Mengs, cui era però obbligato ad adattarsi per motivi di “stipendio”. Tuttavia, riuscì a dimostrare il suo vero talento negli autoritratti, nei ritratti degli amici, e, come vedremo, nei ritratti “non ufficiali”.
La mostra fiorentina I nipoti del Re di Spagna. Anton Raphael Mengs a Palazzo Pitti a cura di Matteo Ceriana e Steffi Roettgen, si sofferma sul soggiorno in città del pittore nel 1770, dove eseguì i ritratti della famiglia granducale, su richiesta del suo mecenate Carlo III di Borbone. Si tratta di quadri destinati a creare e tramandare la memoria familiare, che sprigionano tenerezza nell’affettuoso desiderio dell’illustre nonno di poter vedere, almeno in effige, i propri nipoti (figli della figlia Maria Luisa) che abitano nella lontana Firenze. E a dimostrarci quanto questo desiderio fosse autentico, la condizione posta dal sovrano a Mengs che gli chiedeva il permesso di compiere un viaggio in Italia; poco propenso a far allontanare il suo talentuoso pittore di corte, Carlo III accettò a condizione che si recasse a Firenze ed eseguisse i ritratti dei nipoti, della figlia e del genero Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena. Il soggiorno si svolse fra l’aprile del 1770 e il gennaio dell’anno successivo. In questa occasione, per la sua preparazione sull’arte del Quattrocento, lavorò al restauro degli affreschi di Masaccio nella Cappella del Carmine.
Dei piccoli Arciduchi Ferdinando e Maria Anna, Mengs eseguì due versioni ritrattistiche, profondamente differenti per impostazione e atmosfera. Il primo, destinato alla corte spagnola, ritrae i due fratelli in abiti, si potrebbe dire, da cerimonia, e quasi cardinalizia sembra la grande poltrona su cui siede la piccola Maria Anna. Gli abiti, pur infantili, rifulgono di pompa, e al collo del piccolo Ferdinando si nota il collare del Toson d’Oro, ordine istituito nel 1430 da Filippo il Buono. Pur sorridenti, i volti sono pallidi, spagnolescamente ascetici, come fossero in contemplazione nel freddo chiostro di un convento. Essendo però destinato a Carlo III, il ritratto doveva rispondere sia al gusto un po’ funereo dell’arte spagnola, sia alle prerogative reali.
Di questo doppio ritratto esiste però una seconda versione, eseguita durante il medesimo soggiorno fiorentino, ma caratterizzata da un’impostazione e un’atmosfera del tutto differenti. I due bambini indossano vesti dai colori sgargianti, verde per Maria Anna e rosa scuro per Ferdinando, e appaiono in una posa finalmente disinvolta, autenticamente infantile, con la sorella che con tenerezza si sostiene al fratello per mantenere l’equilibrio, incuriosita dal pittore come si evince dal sorriso che le illumina il volto, a metà fra timido e divertito. Pur seguendo la tradizione inaugurata nel 1656 da Diego Velázquez con il celeberrimo Las Meninas, Mengs si allontana dalla sussiegosa impostazione del cerimoniale spagnolesco, e nel ritratto lasciato a Firenze esprime al meglio la realtà dell’infanzia dei nobili rampolli.
Accanto a questa pittura, anche il ritratti del Granduca Pietro Leopoldo, in tono con la sua figura di sovrano illuminato; sobrio l’abbigliamento, ancora più sobrio lo sfondo, nel quadro spicca l’espressione del giovane sovrano, orgogliosa ma responsabile, di chi è prima cittadino e poi monarca, marcata dalla severità di chi ha davanti a sé un compito di responsabilità. E con responsabilità Pietro Leopoldo governò la Toscana, risollevandone le sorti dopo gli ultimi Medici e la disastrosa reggenza del Principe di Craon. La sensibilità pittorica di Mengs emerge appunto nel trasferire sulla tela l’essenza dell’uomo, attraverso uno stile permeato di realismo.
Una mostra intima e raffinata, da scoprire e ammirare come si farebbe con un album familiare, tuttavia con importanti differenze stilistiche. Attorno ai ritratti di Mengs, la curatela ha costruita una cornice di approfondimento e confronto con ritratti granducali eseguiti da altri pittori dell’epoca, compreso Lorenzo Tiepolo, figlio del più celebre Giambattista. Il suo ritratto della Granduchessa Maria Luisa rifulge di sensualità, e i caldi colori del manto contrastano con l’incarnato bianco, morbido e fine, su cui spiccano gli occhi azzurri. Una futura sovrana che al momento è una merveilleuse, ovvero una grande dama sullo stile della Pompadour o della Du Barry. La ritrattistica del Settecento perde buona parte della severa solennità che aveva caratterizzati il Cinquecento e il Seicento, e lascia spazio a una giocosa “frivolezza” espressa dalla sensuale delicatezza delle vesti e dell’incarnato femminili, e dalla ricercatezza delle vesti maschili.
Oltre ai ritratti familiari degli Asburgo-Lorena, eseguiti da Martin van Meytens e Wilhelm Berczy, spicca un altro ritratto singolo di Mengs, che ha per soggetto Maria Teresa Carlotta, figlia di Pietro Leopoldo e Maria Luisa, nonché futura regina di Sassonia. La lezione di Diego Velázquez riecheggia nella posa della bambina e nella foggia del suo sontuoso abito di raso bianco, ornato di fiocchi rosa e parzialmente coperto da un grembiule di tulle, orpello che appunto ricorda l’infanzia. La posa è “ufficiale”, e anche l’ambiente ha il suo fasto: un tappeto a decori floreali si stende sotto le scarpette dell’Arciduchessa, un pesante tendaggio verde costituisce lo sfondo, e un raro pappagallo cenerino africano in una gabbietta costituisce un “giocattolo” di particolare prestigio.
Piccola ma raffinata, la mostra fiorentina costituisce un interessante spaccato della vita di corte settecentesca, e racconta l’evoluzione del ritratto di corte attraverso il genio di Anton Raphael Mengs, il quale ha realizzato, con l’autoritratto, il suo capolavoro che suggella la mostra fiorentina: autentico manifesto del suo credo pittorico, riassume la raffinatezza del disegno, secondo la scuola vasariana cinquecentesca, e l’utilizzo di un chiaroscuro moderato. Ma a colpire è l’espressione intensa dello sguardo, come di chi stia meditando intensamente la sua missione di pittore.