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Long live the Revolution, l’arte che anticipa e alimenta le rivoluzioni

Ken Hiratsuka, Paris, 1988, dettaglio, courtesy Paolo Buggiani Ken Hiratsuka, Paris, 1988, dettaglio, courtesy Paolo Buggiani
8. Keith Haring, Subway drawings
Keith Haring, Subway drawings

Long live the Revolution, mostra collettiva fino al 20 gennaio 2018 presso la Galleria Wunderkammern di Roma con Keith Haring, Richard Hambleton, Ken Hiratsuka, Paolo Buggiani e Tomaso Binga.

Long live the Revolution ovvero Lunga vita alla Rivoluzione, è il titolo della mostra collettiva allestita fino al 20 gennaio 2018 presso la Galleria Wunderkammern di Roma con nomi del calibro di Keith Haring, (Reading, USA, 1958-1990), Richard Hambleton (Vancouver, Canada, 1954-2017), Ken Hiratsuka (Shimodate, Giappone, 1959) , Paolo Buggiani (Castelfiorentino, Italia, 1933) e Tomaso Binga (Salerno, Italia, 1931).

Lunga vita alla Rivoluzione perché l’Arte anticipa sempre ogni cambiamento politico e sociale svegliando dal torpore, dalla lobotomia mediatica di massa , dalle nostre vite super pianificate. Gli artisti in mostra sono degli autentici pionieri dell’Arte Performativa e di quella che per comodità chiamiamo Street Art e che in realtà racchiude un mondo di codici e stili diversi.

Lunga vita alla Rivoluzione perché la loro arte sembra ancora aver molto da dire. Questa è la prima sensazione che il visitatore prova durante il percorso espositivo della mostra. Opere straordinariamente attuali , dal punto di vista concettuale così come da quello meramente stilistico. Fatta eccezione per l’opera di Haring che denuncia quello che allora era il nuovo totem della società degli anni Ottanta – oggi al posto del televisore probabilmente inserirebbe uno smartphone – tutti i lavori esposti sembrano non avere confine temporale. E quando il tempo soggettivo di un’opera si confonde con quello oggettivo , quando l’effimero evapora in un messaggio eterno, allora Lunga Vita alla Rivoluzione non è una frase ad effetto fine a se stessa, è Creazione capace di rigenerarsi continuamente. Del resto al vernissage di apertura della mostra erano presenti tre generazioni diverse di visitatori.

Ken Hiratsuka, Paris, 1988, dettaglio, courtesy Paolo Buggiani
Ken Hiratsuka, Paris, 1988, dettaglio, courtesy Paolo Buggiani

>> Le opere selezionate per questa esposizione hanno dunque un filo conduttore comune che, come recita il testo critico della mostra “sono pensate per stupire lo spettatore, sorprenderlo per catturarne l’attenzione fino a condurlo alla riflessione …”.

È proprio questo l’intento di Paolo Buggiani quando si reca per la seconda volta a New York perché la pittura su tela comincia a stargli stretta. Le sue performance sono vere e proprie incursioni nella vita caotica e distratta della rampante New York degli anni Ottanta. Inizia a sfrecciare sui pattini tra le macchine nel traffico urbano vestito da Icaro suscitando stupore e probabilmente le ire di molti automobilisti. Una nuova mitologia urbana, una fuga liberatoria , folle e poetica, verso qualcosa che opprime.

E poi ci sono le installazioni dove l’acciaio (simbolo della modernità) e il fuoco ( simbolo primordiale di vita) danno luogo a performance di grande impatto come quella del 1982 raffigurante la silhouette di una famiglia, davanti al palazzo delle Nazioni Unite, nel giorno della commemorazione dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima. Opere effimere che si contrappongono alla concretezza e al consumismo fuori controllo della Grande Mela di quei tempi.

Tomaso Binga, 1976, courtesy Bianca Pucciarelli
Tomaso Binga, 1976, courtesy Bianca Pucciarelli

Le opere di Buggiani – installazioni, foto di performance, opere figurative e i fantastici rettili metallici simbolo di evoluzione/trasformazione – sono disseminate un po’ ovunque lungo l’esposizione. L’artista toscano è un po’ il “mattatore” della mostra non solo per il suo motto Art Revolution ma anche per il forte legame che lo lega a Haring, Hambleton e Hiratsuka. Le loro opere dialogano meravigliosamente tra loro. Il gruppo infatti opera sullo sfondo di una New York in pieno fermento creativo, sulle note dell’Hip Hop, condividendo lo stesso spirito sovversivo anche se con modalità diverse e indipendenti.

Buggiani sarà proprio uno dei primi ad accorgersi dei subway drawings di Keith Haring e a salvarne molti dalla distruzione. Si tratta dei disegni con il gessetto sui cartoni neri delle pubblicità scadute della metropolitana di New York che il ragazzo realizza agli inizi degli anni Ottanta. Un’arte con un linguaggio figurato molto semplice e immediato che ogni indaffarato cittadino americano poteva facilmente decifrare da una stazione all’altra. In seguito Buggiani e Haring diventeranno amici e il maestro italiano sarà anche rappresentato su alcune opere del suo collega di incursioni americano. Operano in questo palcoscenico urbano, dove l’Art Revolution era nell’aria, anche Richard Hambleton e Ken Hiratsuka. Il primo, scomparso recentemente, con i suoi Shadowmen – figure scure abbozzate ad altezza uomo sui muri della metropoli – è considerato , a ragione, il padrino della Street Art.

Allestimento mostra (opere di Tomaso Binga) Foto ArtsLIfe
Allestimento mostra (opere di Tomaso Binga)
Foto ArtsLIfe

I suoi uomini ombra, dipinti con la vernice spray nera sui muri , in un vicolo buio o dietro un angolo, sconcertavano i passanti costringendoli ad interrogarsi sul loro significato che cambiava di volta in volta a seconda del contesto e delle paure del loro inconscio. E non vi sbagliate se vi salta in mente Banksy. Il misterioso artista di (forse) Bristol gli deve molto dal punto di vista dell’ispirazione.

Certo doveva essere stimolante girare per le strade di New York a quei tempi. Tra un Icaro che sfrecciava tra le macchine, un subway drawing di Haring e l’adrenalina di trovarti uno shadowman dietro l’angolo, con un pizzico di fortuna potevi anche imbatterti in Ken Hiratsuka che armato di scalpello, incideva i marciapiedi di granito di New York City. Arte ribelle e clandestina anche questa, che esprimeva un chiaro messaggio di pace attraverso una linea unica e continua che rappresentava l’unione tra gli esseri umani del pianeta. Le sue opere poi si sono estese anche in luoghi naturali in tutto il mondo, come se fosse un’unica roccia.

Allestimento mostra (opera di Paolo Buggiani) Foto ArtsLife
Allestimento mostra (opera di Paolo Buggiani)
Foto ArtsLife

E cosa ha in comune Tomaso Binga , pseudonimo di Bianca Pucciarelli, con i quattro artisti esaminati dato che non ha condiviso con loro la scena artistica newyorkese? Cosa c’entrano le parole “desemantizzate” della poetessa italiana usate come grafica, l’uso del suo corpo ripreso nell’atto di comporre le lettere dell’alfabeto e le performance che la porteranno perfino a far sposare se stessa con il suo alter ego maschile (simbolo della denuncia del privilegio maschile nel campo dell’Arte e non solo)? Semplice : tutti gli artisti in rassegna hanno in comune la creazione di una nuova dimensione , una via impensabile ma possibile.

Uno squarcio sulla routine quotidiana, come il taglio di Fontana che però, nel loro caso, non avviene sulla tela ma attraverso il sovvertimento di quell’ordine statico, di quel mondo reale che pensiamo di non poter cambiare.

Tomaso Binga, Paolo Buggiani, Richard Hambleton, Keith Haring e Ken Hiratsuka
Long live the revolution
a cura di Giuseppe Ottavianelli – testi critici di Serena Silvestrini e Egidio Emiliano Bianco
WUNDERKAMMERN -Via Gabrio Serbelloni 124, Roma
Ingresso libero – orario di apertura: martedì-sabato, 16-19.

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