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Chuck Close accusato di molestie sessuali. “Sono dispiaciuto, non volevo”

Chuck Close, Selfportrait Chuck Close, Selfportrait
Chuck Close, Selfportrait
Chuck Close, Selfportrait

Diverse donne raccontano i comportamenti “sconvenienti” del 77enne artista, caposcuola della pittura iperrealista. Invitate a posare nude nel suo studio

Se quando lambisce il dorato mondo del cinema guadagna subito le prime pagine di giornali, newsmagazine e tg, data la grande popolarità dei personaggi coinvolti, la dilagante bufera delle molestie sessuali scatenata dalle accuse di Asia Argento al produttore americano Harvey Weinstein non risparmia certo anche il sistema delle arti visive. A finire sotto i riflettori per i propri comportamenti equivoci, per ammiccamenti e avance che in qualche caso – ma qui saranno i processi ad appurare la verità – potrebbero essere sfociati in rapporti sessuali più o meno consenzienti, sono già stati nelle scorse settimane personaggi come il famoso fotografo di moda Terry Richardon, l’editor di della grande rivista Artforum Knight Landesman, il direttore della fiera newyorkese Armory Show Benjamin Genocchio. E più recentemente il 43enne curatore americano Jens Hoffmann, con il quale il Jewish Museum di New York ha annunciato di aver sospeso tutti i progetti in corso a seguito delle accuse di molestie verso membri del personale del museo. Ora la vicenda sale ulteriormente di livello, visto che a finire nell’occhio del ciclone per scandali a sfondo sessuale è una superstar amatissima specie negli USA come il pittore Chuck Close.

New York Times e HuffPost hanno infatti raccolto le testimonianze di diverse donne pronte a denunciare comportamenti “sconvenienti” del 77enne artista, ormai storicizzato caposcuola della pittura iperrealista, nominato da Barack Obama a capo del Comitato Presidenziale per le Arti, vittima nel 1988 di un collasso dell’arteria vertebrale che lo ha lasciato gravemente paralizzato, non impedendogli di continuare a dipingere e produrre opere ricercatissime da musei e collezionisti. Comportamenti che tuttavia – stando ai racconti riferiti dalle testate – non sarebbero sfociati in atti concreti, ma avrebbero comunque alimentato quel clima di ambiguità, depravazione e sostanziale svilimento della donna capace di inquinare pesantemente rapporti personali e sociali. La cui emersione – al di là di casi più gravi sfociati in violenze o stupri – è il vero drammatico risultato di questo ultimo allargato sex-gate, che non ha bisogno di sentenze giuridiche per essere appurato.

Chuck Close, Big Nude, 1967
Chuck Close, Big Nude, 1967

Una delle donne ora sul banco dell’accusa ha riferito all’HuffPost che Close avrebbe chiesto di posare nuda per lui, e che una volta che lei si fu spogliata si avvicinò sulla sua sedia a rotelle “tanto che la sua testa arrivò a pochi centimetri dalla sua vagina“, per poi commentare con un inequivocabile “looks delicious“. L’artista Langdon Graves racconta che nel 2010 conobbe Close in una trasmissione televisiva, e che lui poi la chiamò complimentandosi per le sue opere e invitandola nel suo studio. Quando lei arrivò, nessuno degli assistenti di studio era presente: e Close chiese che lei posasse nuda per lui. “Mi chiese di togliermi i vestiti, poi iniziò a raccontarmi di atti sessuali fra lui e una cameriera“. Facendo alla Graves domande sulla sua intimità e sottolineando quanto fosse fortunato il suo fidanzato. Un’altra artista, Delia Brown, ha dichiarato al Times di aver incontrato Close a una cena negli Hamptons nel 2005, e lui le chiese di posare per un ritratto nel suo studio. Ma quando il giorno dopo chiamò, l’artista disse che avrebbe dovuto posare in topless. “Giunsi alla conclusione che non venivo fotografata come artista, ma come donna“, ha detto, e quindi rifiutò. Le risposte di Chuck Close? Ricalcano gli schemi adottati da molti altri accusati di comportamenti simili: sostiene di aver portato donne nel suo studio per motivi artistici, e in genere di averle pagate per provino per fotografie, dal momento che occasionalmente produce foto di nudi, molte esposte nel 2014 nella sua galleria, Pace. “Le invito al mio studio per un provino, e lì non ho una macchina fotografica, quindi devo vedere i loro corpi. Non ho mai avuto un reclamo in 50 anni, nemmeno uno“. Con il classico autoassolutorio: “Se ho messo in imbarazzo qualcuno o l’ho fatto sentire a disagio, sono davvero dispiaciuto, non volevo”.

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