Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio in mostra a Conegliano.
La mostra Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio, dal 2 febbraio al 24 giugno 2018 al Palazzo Sarcinelli di Conegliano, presenta un’importante riflessione dedicata al pittore veneziano Teodoro Wolf Ferrari e fa luce su alcuni aspetti fondamentali, ma ancora da approfondire, della storia dell’arte italiana tra XIX e XX secolo.
«Senz’alcun dubbio (…) artista della Modernità europea» secondo il giudizio critico di Lionello Puppi, Wolf Ferrari, veneziano, classe 1878, ha saputo assimilare e interpretare gli stimoli migliori della cultura secessionista di inizio ‘900 trasferendoli a Venezia, animata in quegli anni dalle esperienze fondamentali della Biennale e di Ca’ Pesaro, cui prese attivamente parte.
La mostra, curata da Giandomenico Romanelli con Franca Lugato, intende ricostruire questo contesto di fermenti, innovazioni e cambiamenti nell’arte, puntando il riflettore sulla vicenda artistica di Teodoro.
Vengono qui riunite assieme per la prima volta, in un percorso del tutto inedito, oltre 70 opere tra le quali dipinti, acquarelli, pannelli decorativi, vetrate, studi per cartoline, individuate presso collezioni private, gallerie, dimore di appassionati e intenditori, dove la produzione dell’artista si è principalmente concentrata.
La mostra Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio si snoda lungo 7 sezioni, attraverso un importante confronto non solo con alcuni dei giovani capesarini, ma anche con autori quali Otto Vermehren e Mario De Maria.
A testimonianza del notevole contributo critico vengono identificate le linee guida del linguaggio e della “poetica” dell’autore, rintracciabili in almeno tre direttive principali: la fantasiosa e inquietante simbologia böckliniana; il sintetismo di Pont-Aven attraverso il dialogo con l’ambiente di Ca’ Pesaro; la componente secessionista e più marcatamente klimtiana.
“Teodoro Wolf Ferrari è un romantico; il suo romanticismo vive oltre gli aspetti veristici della natura… Il quadro è decorazione, ricomposizione fantastica nel sentimento, nelle linee, nei colori delle impressioni maturate dentro di sé: è composizione armonica nella propria anima delle note discordi suggerite dal mondo circostante“. G. Damerini, 16 luglio 1910
La formazione all’Accademia di Belle Arti con i maestri del paesaggio
Il percorso si apre con l’imprescindibile riferimento alla componente inquieta di derivazione böckliniana, senza tuttavia trascurare l’iniziale formazione dell’autore presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove sin dal 1892 frequenta la “scuola di paesaggio” dei maestri Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo e Millo Bortoluzzi. Come attesta il ciclo di dipinti realizzato tra il 1904 e il 1908 a Luneburgo, la brughiera in Bassa Sassonia vicino a Hannover, in questa prima fase Teodoro sembra prendere le misure del suo itinerario e definire la chiave tematica e linguistica del suo impegno.
Con queste opere ha già preso le distanze dai suoi maestri veneti.
Il tormentato simbolismo böckliniano
Dal 1896 Teodoro studia a Monaco, dove entra in contatto con alcuni degli ambienti simbolisti e secessionisti più avanzati e cosmopoliti del momento. L’adesione alla poetica di qualificazione böckliniana viene largamente esplicitata nella terza sezione (Tempeste dall’ Isola dei morti) da un gruppo di opere ‘tenebrose’ realizzate intorno al 1908. Sogno e incubo sembrano fondersi in un’atmosfera sospesa e onirica.
In questi anni Wolf Ferrari realizza, inoltre, due componenti fondative del proprio linguaggio: da un lato le pareti rocciose che già si erano imposte nell’immaginario nordico, dall’altro lato squarci di un paesaggio di concezione differente e nuova le cui origini vanno ricercate nel gruppo dei giovani artisti di Ca’ Pesaro (la pittura di Gino Rossi, di Ugo Valeri, di Umberto Moggioli, oltre che alle prove grafiche di Arturo Martini).
Il sintetismo e il fervente ambiente di Ca’ Pesaro
Parallelamente alle grandi mostre che lo vedono protagonista in Germania, Wolf Ferrari partecipa e anima il dibattito artistico di quegli anni. A Venezia si confronta con gli artisti di Ca’ Pesaro. Il dialogo in mostra con alcune opere di autori quali Gino Rossi e Ugo Valeri permetterà di restituire parte di quel contesto. La sperimentazione stilistica è particolarmente evidente in Teodoro, che si dedica anche alla realizzazione di manifesti, gioielli, vetri. Esemplare in tal senso il pannello decorativo a quattro ante, presente in mostra. «Un cielo striato da linee orizzontali blu che potrebbe essere tolto di peso da Serusier o Bernard, il poderoso albero sulla destra dai contorni disegnati a masse globulari compatte; il terreno circostante punteggiato di schematici fiori azzurri e gialli, anch’esso delimitato da campiture in cloisonne» (G. Romanelli).
La componente klimtiana
È questa la stagione più intensa e creativa di Wolf Ferrari che realizza le celebri tele di betulle, salici, cipressi, glicini (presenti nella quinta e sesta sezione Riflessi sull’acqua; Come Klimt: betulle e salici) di evidente ispirazione secessionista e klimtiana. Non è probabilmente casuale la coincidenza di due importanti eventi espositivi: nel 1910 la IX edizione della Biennale proponeva la sorprendete sala di Klimt e a Ca’ Pesaro veniva presentata una personale di 52 opere di Teodoro Wolf Ferrari.
Con questi dipinti del secondo decennio del ‘900, tra cui spiccano Il cipresso e le rose (1920), Betulle (1913), Betulle e glicini (1919), l’itinerario poetico wolfferrariano raggiunge il suo apice.
Un’arcana bellezza
Dal 1920 Teodoro si trasferisce definitivamente a San Zenone degli Ezzelini (dove si spegnerà nel 1945). Negli anni ’20 e ’30 partecipa alle Biennali, alle rassegna della Bevilacqua La Masa e a importanti mostre nazionali, tra le quali la Promotrice di Torino nel 1922 e la Biennale romana nel 1923 e 1925. In questa fase, con cui si chiude il percorso espositivo che approda alla sezione Una passeggiata dal Grappa al Piave, si registra un decisivo cambiamento. Teodoro sembra abbandonare la scrittura sperimentale che aveva caratterizzato la sua produzione in una sorta di un neoimpressionismo dai toni ariosi e solari..
La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Marsilio Editori, rappresenta un’occasione preziosa per riscoprire la pittura di Wolf Ferrari, cui restituisce la centralità che merita, riconoscendolo come figura fondamentale di una stagione magica dell’arte veneziana e italiana che guardava all’Europa e alla Modernità ed esprimeva un’emergente soggettività propria di una nuova, entusiasmante epoca: il Novecento.
Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio
Palazzo Sarcinelli
Conegliano (Treviso)
2 febbraio > 24 giugno 2018