80 opere di altrettanti artisti raccontano e interpretano l’opera e la complessa personalità di Virginia Woolf, in una mostra quasi esclusivamente al femminile. In collaborazione con la Pallant House Gallery di Chichester e il Fitzwilliam Museum di Cambridge. Alla Tate St. Ives fino al 29 aprile 2018. www.tate.org.uk
St. Ives. Un universo interiore e letterario problematico, poetico e onirico insieme. Questo rivelano le pagine di Virginia Woolf (1882-1941), fra le autrici più suggestive della narrativa britannica del Novecento, tormentata in vita da insicurezze, paure, amori turbolenti, ma anche sorretta dal talento letterario e da una profonda coscienza civile per i diritti delle donne. A quasi ottant’anni dalla drammatica scomparsa, la mostra Virginia Woolf: an exhibition inspired by her writings, la racconta attraverso una scelta di opere pittoriche e scultoree ispirate ai suoi scritti, o comunque riconducibili al suo pensiero e all’atmosfera della sua narrativa. Un punto di vista “indiretto”, che ha però il pregio di testimoniare l’influenza che la Woolf ha avuto sulla cultura europea del Novecento, e come ancora oggi il suo pensiero continui ad avere un peso.
St. Ives, sull’estrema punta occidentale della Cornovaglia, fu un luogo assai caro alla Woolf, che fino al 1895 vi trascorreva l’estate assieme alla famiglia, in una casa di proprietà; momenti di profonda serenità, drammaticamente interrotti dalla morte della madre e dalla successiva vendita della casa. A questo grave lutto, che segnò duramente la Woolf, seguirono due anni dopo la morte della sorellastra Stella, e nel 1904 quella del padre; la sofferenza fu tale che ebbe un primo collasso nervoso, per rapida perdita di quegli affetti che costituivano il suo universo emotivo. Un’altra dolorosa vicenda segnò purtroppo la personalità della scrittrice, ovvero la violenza sessuale subita poco dopo dai fratellastri George e Gerald Duckworth (figli del primo marito della madre), il secondo dei quali fu in seguito un editore di successo a Londra, anche delle opere della Woolf.
All’insicurezza per la prematura perdita dei genitori, si affiancò quindi la diffidenza verso l’altro sesso, che insieme contribuirono sicuramente a indebolire una personalità già di per sé particolarmente sensibile e fragile. La scrittura fu per lei un rifugio e un’ancora di salvezza, e la sua attività letteraria, con brevi racconti per il supplemento letterario del Times, prese avvio nel 1905, in concomitanza con la fondazione, per sua iniziativa, del Circolo Bloomsbury (nell’omonimo quartiere londinese dove la Woolf si era trasferita), e dieci anni dopo uscì il suo primo romanzo, La crociera.
Nell’epoca della modernità dirompente, anche la Woolf ebbe modo di portare il suo contributo sociale e civile, in particolare nel campo della parità di genere; la sua letteratura fu uno strumento di lotta per l’emancipazione femminile, di affermazione della creatività delle donne, per le quali l’appartenenza di genere doveva essere il punto di partenza fondamentale. Un pensiero che ha fatto scuola, ripreso anche dalla poetessa americana Audre Lorde, nel suo The Master’s Tools Will Never Dismantle the Master’s House del 1979: “Come donne, ci hanno sempre insegnato a ignorare le nostre differenze, o a vederle come cause di (ghettizzazione) e sospetto, anziché come risorse per il cambiamento”.
Per la formazione della coscienza femminista della Woolf, furono fondamentali i periodi trascorsi in Cornovaglia, nella casa di famiglia, dove conobbe Joseph Wolstenholme, amico del padre e fratello di Elizabeth Wolstenholme Elmy, un’attivista femminista che la coinvolse, ancora ragazzina, nelle attività della National Union of Women’s Suffrage Societies e della World Women Organisation. Talland House, la residenza di famiglia a St. Ives, rimase per sempre nell’immaginario della Woolf come il luogo della scoperta di sé, dell’emancipazione, una sorta di spazio interiore da dove proiettarsi nel mondo, superando quelle mura domestiche che per secoli avevano costituito per le donne barriere invalicabili. Se Ethel Sands nel suo interno The Chintz Couch (1910-11) esprime la tranquilla intimità domestica di un angolo dedicato alla comodità, tre decenni più tardi Laura Knights utilizza il cactus come pianta domestica in sostituzione dei classici fiori; una pianta grassa che si fa metafora della resilienza in un clima familiare ostile, così come le mosche morte e il ghiaccio che incrosta il vetro della finestra aumentano la sensazione di una femminilità vissuta in un ambiente domestico difficile.
Il paesaggio fu un’altra costante della narrativa della Woolf, che aveva nella Cornovaglia della prima giovinezza la memoria più struggente, e divenne pertanto metafora di un luogo in cui sentirsi libera, imporre la sua personalità e il suo corpo. La sorellastra Vanessa Bell, divenuta pittrice di una certa fama, dedicò numerose tele alla Cornovaglia e alla casa di famiglia, alcune delle quali in mostra, che danno un poetico effetto nostalgico. Ma l’importanza del pensiero della Woolf, in chiave di affermazione femminile, la si legge, ad esempio, nei ritratti fotografici di Dora Carring probabilmente eseguiti da Lady Ottoline Morrell nel 1917, o nell’autoritratto fotografico di Claude Cahun del 1928, fino alle manipolazioni fotografiche di Veronica Ryan in Loss of Selves, Place and Transformation (2000). Si tratta di opere nelle quali il paesaggio diviene una sorta di “fatto personale”, dove gettarsi e affermare se stessi, in questo caso la propria femminilità. La questione del genere fu per la Woolf assai dibattuta, come spiegato dall’allegorico e controverso Orlando, incentrato sull’omonimo personaggio, caratterizzato da androginia. Il romanzo, denso di sperimentazioni narrative, fra cui l’estrema frammentazione della trama, contiene anche numerosi riferimenti alla tormentata relazione che la Woolf ebbe con la poetessa Vita Sackville-West. Tormenti in parte riecheggiati dal dittico Alcove (1946-48) della pittrice surrealista Ithell Colquhoun.
Su queste premesse, la mostra di St. Ives indaga l’universo femminile vissuto o immaginato dalla Woolf, e fatto proprio da numerose artiste che dagli anni Quaranta al Duemila sono vissute all’interno di un clima sociale in cui la condizione femminile si è sensibilmente elevata (sebbene molto resti ancora da fare), e che ha anche visto radicali cambiamenti in fatto di costumi sessuali. Sulla loro scia, il Novecento è stato a che il secolo della ridefinizione della donna, della definitiva presa di coscienza del proprio corpo e dei propri diritti, anche attraverso battaglie che sono passate per la storia dell’arte e della letteratura. Innegabili, in fatto di presa di coscienza femminile, le sculture di Louise Bourgeois o le poesie di Anne Sexton. La mostra è un racconto sul doppio binario della figura della Woolf e dell’influenza che la sua letteratura non convenzionalmente femminista ha avuto sulla cultura, con il suo universo sottilmente ambiguo, fatto di solitudine e mondanità, di silenzi contemplativi, di poesia e ambizioni. Che hanno trovato rispondenza in tante donne che ha loro volta hanno preso coscienza di sé in maniera più completa; la mostra lo racconta attraverso i numerosi ritratti e autoritratti femminili esposti, testimonianze visiva della necessità della donna di occupare il proprio posto nella società. Un posto che ha raggiunto anche grazie agli stimoli della letteratura di Virginia Woolf.