Dalla terra di Pompei emerge un altro pezzo di storia: uno scheletro con un imponente blocco in pietra che lo ha colpito nella porzione superiore schiacciando la parte alta del torace e il capo
Non smettono di stupire i nuovi scavi avviati circa due mesi fa nell’area Regio V che fanno parte del cantiere di messa in sicurezza dei fronti di scavo interni alla città antica, previsto dal Grande Progetto Pompei.
Neanche il tempo di celebrare l’ultima grande scoperta di pochi giorni fa, la raffinata Domus dei Delfini, che dalla terra emerge un altro pezzo di storia. Una storia drammatica. In questo caso infatti, non non ci troviamo di fronte agli incantevoli affreschi della Domus affrescata con vivaci colori ma a quella che Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, definisce ‘la prima vittima’ nel cantiere dei nuovi scavi.
Si tratta di uno scheletro, ritrovato all’incrocio tra il Vicolo delle Nozze d’Argento e il Vicolo dei Balconi, quest’ultimo di recente scoperta e del quale vi abbiamo accennato nel nostro precedente articolo dedicato alla Domus dei Delfini.
Al momento sono visibili solo gli arti inferiori: un imponente blocco in pietra (forse uno stipite), trascinato con violenza da una nube piroclastica, lo ha colpito nella porzione superiore schiacciando la parte alta del torace e il capo che, ancora non individuati, giacciono a quota più bassa.
In base alle prime analisi eseguite dall’antropologa, dovrebbe trattarsi di un uomo adulto di età superiore ai 30 anni, con un’ infezione ossea al livello delle tibie e questo potrebbe essere un indizio utile per ricostruire la dinamica della sua drammatica fine. Probabilmente, proprio a causa dei suoi problemi di deambulazione, l’uomo non è riuscito a fuggire in tempo dopo le prime fasi dalla terribile eruzione del 79 d.C. alle quali era inizialmente sopravvissuto considerato che lo scheletro è stato rinvenuto al di sopra di uno strato di lapilli.
Come ha dichiarato il Direttore Generale Massimo Osanna :
“Questo ritrovamento eccezionale, rimanda al caso analogo di uno scheletro rinvenuto da Amedeo Maiuri nella casa del Fabbro e oggetto di recente studio. Si tratta dei resti di un individuo claudicante, anche lui probabilmente impedito nella fuga dalle difficoltà motorie e lasciato all’epoca in esposizione in situ. Al di là dell’impatto emotivo di queste scoperte, la possibilità di comparare questi rinvenimenti, confrontare le patologie e gli stili di vita, le dinamiche di fuga dall’eruzione, ma soprattutto di indagarli con strumenti e professionalità sempre più specifiche e presenti sul campo, contribuiscono ad un racconto sempre più preciso della storia e della civiltà dell’epoca, che è alla base della ricerca archeologica”