Un’intervista a Loïc Gouzer – 38enne svizzero e geniale specialista di Christie’s- pubblicata pochi giorni fa da Artnet News, ha fatto emergere alcuni importanti trend del mercato dell’arte, spiegando come sia cambiato negli ultimi anni e quali siano oggi le vie da intraprendere per muoversi al suo interno.
Non si può certo dire che Gouzer sia esattamente il tipico specialista di casa d’asta con un’educazione da storico dell’arte e l’atteggiamento da critico d’accademia. Anzi, diciamolo pure, è forse uno dei personaggi più insoliti che oggi risponde a questa categoria professionale. Gouzer è evidentemente irrequieto, dal suo profilo sui social sembra che si dedichi a tutt’altro. Soprattutto emerge il suo amore per la natura e gli animali, la sua dedizione a questa causa grazie alle raccolte fondi per salvare balene e squali.
Eppure, ben lontano dall’essere uno sprovveduto star-advisor, Gouzer è co-chair del dipartimento postwar and contemporary art for the Americas. Non solo: lo possiamo considerare il vero (geniale) motore dell’innovazione e di alcuni dei più grandi ultimi successi della casa d’aste. Da quando è entrato a far parte di Christie’s nel 2011, Gouzer ha infatti più volte aperto nuove strade facendo decisi “strappi alla regola”.
Questo è accaduto innanzitutto con una delle sue prime trovate che calamitarono subito su di lui l’attenzione, ovvero l’asta “If I Live I’ll See You Tuesday..” organizzata nel 2014: un mix curatoriale di opere di altissimo livello, ma che spaziavano fra più generazioni d’artisti e stili diversi, con la famigerata opera di Richard Prince, Spiritual America come pezzo principale dell’asta, poi pubblicizzata con il discusso video in skateboard. Ma Gouzer ha spinto sempre più in là l’innovazione nelle tecniche di comunicazione e di offerta di Christie’s, anche con aste come “Looking Forward to the Past” (2015) che accostava artisti di generazioni diversissime creando stridenti ma potenti giustapposizioni e contrasti, come quelli fra Monet e Keith Noland, o le opere erotiche di Marchel Duchamp con quelle di Prince.
Negli ultimi giorni (nella prima parte di questa intervista) è stato definito poi da Artnet come il “vero uomo dietro al Salvator Mundi”, deus ex macchina della vendita da record passata alla storia, che l’ha portato a includere un Leonardo in una vendita di arte moderna e contemporanea: una strategia di grande successo che ha permesso alla maison di stabilire nuovi record e “fama”.
Nell’intervista di Artnet News viene illustrato come il mercato dell’arte sia cambiato negli ultimi 10 anni e Gouzer racconta anche dell’uso strategico ma personalissimo di Instagram anche ai fini di vendere opere d’arte, della sua opinione sul peso crescente degli acquirenti cinesi e asiatici, di come, ormai, collezionare arte possa rendere un businessman migliore, e infine il delicato tema di come nessuno pare volerne più sapere davvero d’arte.
Ecco alcuni estratti dell’intervista
• Alla domanda sul suo uso strategico o meno di Instagram come mezzo per vendere arte, ma al contempo anche di liberissima espressione personale (i suoi post sono infatti un mix di opere blue-chip in arrivo nelle prossime aste, statistiche sullo stato di conservazione delle specie selvatiche e foto della sua vita privata e delle sue passioni), Gouzer ha risposto:
Instagram è oggi un mezzo incredibile perchè hai un accesso diretto ai collezionisti. Stimerei che almeno un 80% dei collezionisti con cui tratto ci seguono su Instagram e per questo Christie’s ha ormai tagliato sull’ufficio stampa tradizionale, il che è sicuramente una buona cosa. Talvolta lo uso come biglietto da visita quando sto organizzando un’asta, così da attirare opere: “Hey ragazzi, sto lavorando a un’asta, questo è ciò che sto cercando… Ho di fatto venduto molte opere proprio tramite e grazie a Instagram, sicuramente funziona per vendere arte.
Gouzer però ha anche notato: E’ davvero divertente. Se da un lato lavoro per Christie’s, Instagram è anche allo stesso tempo un mio dominio personale, quindi è questa zona grigia che ti permette di fare certe cose. Normalmente -ho sentito dire- se vuoi creare un profilo che funzioni, dovresti essere costante e postare più o meno sempre le stesse cose. Nel mio caso, io sono “schizzofrenico”, salto da opere d’arte a squali morti, e poi parlo di preservazione della natura. E funziona.
Funziona davvero per Gouzer, che ha raccontato di avere appunto condotto alcune importanti private sale proprio grazie a Instagram:
Ho venduto una discreta quantità di lavori con Instagram e ho anche condotto alcune Private Sale con questo social. Posto un’opera e ricevo una chiamata di qualcuno che dice: “Ehy, ho visto questo su Instagram, voglio fare un’offerta”. Ora, questo può essere un po’ problematico, perché a volte abbiamo dei collezionisti che chiedono proprio di postare l’opera che ci hanno dato in mandato sul profilo Instagram. Io però non voglio farlo, desidero rimanere libero di postare quello che voglio.
• Alla domanda sui cambiamenti nei trend di scelta, acquisto e comportamento dei collezionisti da lui notati, ha osservato come:
I collezionisti sono cambiati molto nei 10 anni in cui ho svolto questo mestiere. Quando iniziai, ci si sedeva a un tavolo con possibili acquirenti, loro avrebbero fatto delle domande, si doveva mostrare loro l’opera e il catalogo ragionato, spiegare perchè fosse un capolavoro di qualità e come rientrasse nella produzione dell’artista: sarebbe stato una scambio, una discussione, prima che si creassero un’opinione e scegliessero. Ora invece lo spazio possibile di attenzione delle persone è diventato molto più limitato, non solo verso l’arte, ma in ogni ambito. Oggi le persone vengono da te e tu proponi “Ecco un dipinto di Twombly, dovresti metterlo a confronto con altri nel catalogo ragionato dell’artista…” ma loro ti rispondono “Ho solo bisogno di sapere se è un A, A+ o B+”. Puoi trovare persone che possono spendere anche $20/30 milioni solo vedendo l’immagine su Instagram e senza farti ulteriori domande.. Questo, da un punto di vista sociologico, è molto interessante, ma talvolta mi rattrista un po’… Penso che l’intero modo di collezionare sia cambiato. Ho un po’ di nostalgia di quei giorni, non molto tempo fa, quando ogni volta che dovevi vendere un dipinto lo si faceva affrontando un’intera conversazione!
• Alla domanda provocatoria dell’intervistatore se l’arte fosse ormai diventata ormai come “giocare a golf”, ovvero un status symbol per businessman di successo, Loic ha risposto che -pur essendo in accordo con lui- bisogna sottolineare il potenziale e gli stimoli che il collezionare arte può offrire alle persone, e soprattutto agli stessi imprenditori e il loro business
Alcune persone fanno il Sudoku, altre le parole crociate, altre ancora collezionano arte. E’ davvero qualcosa che ti apre la mente. L’altro giorno ero a pranzo con François Pinault a New York e qualcuno gli ha chiesto quanto importante fosse per lui collezionare. Lui ha risposto “Penso che se non avessi iniziato a collezionare, sarei ancora a vendere legno”. Ha aperto la sua mente a tutto, perchè l’arte ti forza a mantenere attiva la parte del tuo cervello che gestisce la curiosità. Collezionare arte è un’incredibile ginnastica per la mente, di base perchè significa sempre spingerti oltre. Il che solleva un altro interessante punto: conosco solo un numero limitato di collezionisti che hanno studiato ad Harvad o a Yale, il più delle volte i collezionisti d’arte sono uomini e donne che si sono fatti da soli, molti hanno abbandonato scuola ma sono riusciti a creare veri imperi e hanno avuto successo. E un comune denominatore è la loro curiosità. Solitamente le persone che pensano di conoscere tutto non collezionano arte.
• Per concludere, quango gli è stato chiesto di esprimere un parere sull’attuale stato di salute del mercato dell’arte e una previsione sull’andamento dell’economia dell’arte a breve termine, ottimisticamente Gouzer ha affermato:
La gente è sempre preoccupata che il mercato dell’arte possa essere solo una bolla speculativa. Ma questa di fatto è una interpretazione sbagliata. Il mercato dell’arte è forte, ma non è scoppiato. La ragione per cui appare sempre così forte, con prezzi elevati e tutto quel che segue, è perchè le case d’asta tendono a focalizzarsi sugli artisti che stanno andando meglio sul mercato. E tutti gli artisti che non stanno avendo buone performance? Questi sono quelli di cui non si parla. Pertanto, punto primo, penso che il mercato dell’arte sia in uno stato di salute sano e non penso che sia una bolla.
Ciò che non è davvero sano, tuttavia, è il fatto che, come in tutti i settori, il potere dei brand sta diventando travolgente: pertanto la gente acquista dalle gallerie e dalle case d’asta così come se fossero Hermès, Gucci o Tom Ford. Penso che ci siano parecchi artisti validi, che però non sono sotto le luci della ribalta e penso che ci siano moltissime piccole gallerie che fanno fatica a vendere alcuni artisti nonostante siano davvero bravi. Pertanto la casa d’aste ha la responsabilità anche di non focalizzarsi solo sugli stessi soliti 200 artisti, ma tentare di sperimentare e portare sul mercato molti “insoliti eroi”. Ma, per quanto riguarda il collezionare è qualcosa di “genetico”, un bisogno del subconscio e non sta certo scomparendo, piuttosto si sta diffondendo. Ogni stagione abbiamo un nuovo flusso di collezionisti dall’Asia alla Silicon Valley. Penso che l’intera mailing list di Leo Castelli fosse di 150/200 persone, ed era una delle gallerie più importanti. Ora le gallerie hanno mailing list da migliaia di persone. Quindi, anche se ci sono delle flessioni – e ci saranno – il numero crescente di collezionisti manterrà il mercato forte. Ho attraversato il periodo della crisi del mercato, ma è stato solo interessante constatare come, mentre le persone avevano smesso di comprare per un po’ dopo il collasso della Lehman Brothers, il loro comportamento in realtà era molto simile a quello dei funghi: non vengono fuori per una stagione ma continuano a crescere sottoterra. E quando la crisi è finita, tutti questi “funghi” (i nuovi clienti) sono venuti fuori ovunque.
Se volete leggere l’intervista integrale, la trovate nel sito di Artnet News, qui