Alberto Bonisoli/Don Abbondio. Il ministro dei Beni Culturali conferma in un’intervista che sulla nomina del curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia lui si è limitato ad avallare scelte fatte da altri
Gli abbiamo chiesto – informalmente, lo ammettiamo – un’intervista, e non abbiamo avuto risposta. Siamo piccoli, aspetteremo. Ma restiamo comunque in attesa che il nuovo ministro dei Beni Culturali – non più Turismo: a giorni sarà ufficializzato il passaggio di competenze all’Agricoltura – Alberto Bonisoli informi l’universo mondo circa le idee sulla base delle quali si appresta ad affrontare il fondamentale incarico. Ma ad ogni occasione che si presenta – sono rare, in realtà, fra le sue caratteristiche pare ci sia una riservatezza che fino a un certo punto è una virtù ma poi rischia di diventare un limite – restiamo puntualmente delusi: è successo alla festa “Bergamo sotto le 5 stelle”, con un suo intervento raccontato dal Corriere della Sera; è successo con una lunga intervista pubblicata domenica 1 luglio da Avvenire. Pensieri “deboli”, opzioni transitorie, prospettive vaghe e molte riconferme da quel passato che teoricamente ci si propone di cambiare.
Ma in qualche caso tra le righe succede di incontrare rivelazioni degne di nota. Accade proprio con l’intervista al quotidiano dei vescovi italiani, quando l’intervistatore cerca di trascinarlo dentro la polemica sorta – tra le file della Lega – attorno alla nomina di Milovan Farronato a curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. E lui ricostruisce come sono andate le cose: “La selezione era partita sotto Franceschini e a me toccava decidere”, precisa Bonisoli. “Mi hanno proposto una lista di candidati, ordinata per competenza: Farronato era il primo. Ovviamente, mi hanno segnalato che c’erano delle ragioni di opportunità politica da considerare, ma ho deciso che non esisteva alcuna ragione per non scegliere il migliore”.
Proceduralmente, corretto. Ma la domanda è inevitabile: un ministro chiamato a reggere una materia tanto vitale per l’Italia, accetta passivamente le indicazioni che gli giungono da funzionari operanti sotto il suo predecessore, e trova la cosa più naturale del mondo confermare le loro indicazioni, solo dopo aver vagliate delle ridicole opportunità politiche? Cioè, lui sa chi è Milovan Farronato, quale curriculum può vantare e di conseguenza in quale contesto nasce la proposta curatoriale che acriticamente avalla? E sa chi sono Luigi Fassi e Andrea Bellini, i due candidati giunti alla terna finale dalla quale la “Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanea” ha estratto il nome che lui ammette di aver soltanto confermato? Del resto era ministro da pochissimi giorni, non avrebbe avuto il tempo materiale per vagliare queste decisioni. Nessuno critica il merito della scelta, ma il metodo sì: ed un tale relativismo temiamo significhi la pochissima attenzione che Bonisoli assegna ad una scelta invece fondamentale per l’ambiente come la scelta del curatore del Padiglione Italia. Quanto a Farronato, nell’intervista il ministro racconta: “l’altro giorno ho incontrato il curatore del padiglione italiano della Biennale e gli ho chiesto una cosa sola: che sia una Biennale da ricordare”. E qualcuno, memore di cosa per Farronato nell’arte è “da ricordare”, trema…