“Cose ritrovate”. Quelle di Paolo Simonazzi per la seconda mostra fotografica del 2018 per l’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona. Simonazzi raccoglie piccole storie, specifiche del suo territorio, e le narra attraverso le cose ritrovate in esse, un po’ come Gianni Celati le trasforma in materiale per racconti universali, o Ghirri le racconta svelando la meraviglia al di sotto del visibile quotidiano. In Cose Ritrovate, fino al 20 agosto 2018, la spiccata sensibilità dell’artista coglie, dalle storie raccontate, raramente con presenza umana, l’accumulo, nel tempo, degli oggetti di personaggi ordinari sviluppando così un poema antieroico della realtà quotidiana, senza astrattismo o ideologismo.
L’immediatezza rappresentativa dello scatto non dà però come effetto il realismo, quanto, grazie all’inquadratura e alla luce, naturale e interiore, una sorta di surrealismo che rivela una personale intuizione estetica fondata sull’horror vacui e sul senso dell’attesa.
Natura abhorret a vacuo: il concetto aristotelico, in psicologia cenofobia, riporta a un confronto con se stesso, alla creazione di una comfort zone, attraverso la camera, per liberarsi delle sovrastrutture che creiamo per proteggerci dall’incontro-scontro con l’altro.
L’attesa. Le fotografie non sono immobili e, pur non insistendo sull’apparenza superficiale, l’unità stilistica è assicurata da una personale visione del reale, né manierista, né di documentazione. Per dirla con Hegel, Simonazzi interiorizza ciò che è e lo esprime esteriormente per sé, annienta la visione dell’oggetto quale si pone davanti all’obiettivo e lo riproduce in altri termini.
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