C’era una volta un mago, anzi il Mago, Magorabin per la precisione. E c’è ancora, solo più bello e più grande di prima. La nuova sede del ristorante stellato di Marcello Trentini si trova a pochi passi da quella precedente. La via resta la stessa, Corso San Maurizio a Torino, e così pure il civico 61. Cambia solo la lettera che segue il numero: da D diventa B.
Ma quella manciata di metri di distanza, quell’avvicendamento di consonanti segnano una svolta. È l’inizio di uno sfavillante secondo tempo a 15 anni esatti dall’apertura, con la prima stella Michelin orgogliosamente appuntata sulla divisa (dal 2013) e la seconda ormai in pectore a detta di molti.
Tuttavia il nuovo Magorabin non ha niente a che fare con la ricerca di gloria o attestazioni della critica, se mai il contrario. Nasce dal bisogno dello chef Marcello Trentini e della compagna Simona Beltrami, sommelier e direttrice di sala, di progettare un luogo capace di esprimere il loro percorso di crescita, l’evoluzione stilistica in cucina e nel servizio. Uno spazio diverso perché loro sono cambiati e vogliono mostrare ciò che sono diventati, come persone e come professionisti della ristorazione.
Da qui l’idea di una location più ampia, circa il doppio del “vecchio Mago” (che però non va in pensione, ma viene trasformato in una bottega alimentari dove concedersi uno spuntino gourmet). Tutti i dettagli sono stati studiati con l’architetto torinese Lara Spano per creare un ambiente personalissimo e ricercato, che strizza l’occhio all’urban style newyorkese, ma rievoca anche una quinta teatrale barocca. Contrasti di luci e ombre, toni caldi e freddi, elementi di design antichi e moderni contribuiscono a creare un’atmosfera eclettica e accogliente. Il vecchio giradischi Transcriptors (quello del film Arancia Meccanica) permette di ascoltare i dischi in vinile, mentre le poltroncine anni Settanta, disposte nel salottino pavimentato in ferro, ospitano il drink di benvenuto.
I tavoli, di forma rotonda e quadrata, sono allestiti lungo i due saloni principali, attorniati dalle storiche sedie di legno con fodere color sabbia che furono già del precedente locale. Come a rassicurare i clienti che il loro posto è sempre quello, che i fondamentali non sono cambiati. La chef’s table è posizionata in una nicchia con un tavolo rialzato per otto persone, ricavato da un unico blocco di quercia bruciata al cannello. Accanto, colpisce l’inserto di una colonna antonelliana che spunta dalla parete ricordando le origini settecentesche del palazzo. E poi c’è la grande cucina, progettata e costruita su misura per lo chef Trentini e la sua brigata, che include anche un laboratorio di panificazione.
A questo punto la domanda sorge spontanea: che cosa si mangerà al “nuovo Mago”? Non mancheranno i signature dish, i cosiddetti cavalli di battaglia, ma anche le sperimentazioni audaci dei menu degustazione, specchio della creatività varipinta e golosa di Trentini, che ha girato il mondo e lo reinventa nei suoi piatti, senza mai perdere di vista il background torinese.
Gli snack di benvenuto, in abbinamento all’aperitivo a base di Vermouth Mancino, includono uno strabiliante Gianduiotto al foie gras: crème royale di fegato grasso congelato e poi immerso nel burro di cacao e cioccolato fondente per ricreare alla perfezione le sembianze del re dei cioccolatini piemontesi. Tra i primi segnaliamo il Risotto ai confini del risotto: una lavorazione in bianco e sopra un gioco pirotecnico di polvere di barbabietola, plancton e uova di trota. Tra i secondi si distingue il delizioso Pollo nappato con salsa di caffè Nicaragua, spicchio di fungo shitake e riduzioni all’aglio bianco e nero per guarnire.
Dulcis in fundo, una selezione di dessert che sembrano quadri di Pollock e Picasso, a cominciare dal Gelato al sambuco con bavarese al cioccolato bianco, pan di spagna speziato umido e secco, pere al cardamomo, yogurt fatto in casa e crema alla vaniglia. Un nome tanto lungo per un dolce tanto buono, autentica armonia di colori e contrasti che è la cifra stilistica del Magorabin. Anche in versione reloaded.
Per tutte le foto dell’articolo: © Il Cucchiaio d’Argento – ph. Stefano Caffarri.