Fortemente ispirato dai due grandi maestri, van Gogh e Gauguin, l’irlandese fu con loro protagonista del rinnovamento della pittura europea alla fine dell’Ottocento. Una mostra a Dublino, curata da Jonathan Benington e Brendan Rooney, lo racconta e lo contestualizza fra Parigi e Pont-Aven. Alla National Gallery of Ireland, fino al 28 ottobre 2018. www.nationalgallery.it
Dublino. Sul finire dell’Ottocento, un sottile fil rouge legava Parigi a Pont-Aven, tranquillo villaggio campestre nella Bretagna occidentale; qui erano infatti giunti numerosi pittori che, formatisi alla scuola impressionista, cercarono (riuscendoci) di andare oltre. La piccola comunità attrasse artisti anche dal resto d’Europa, come l’elvetico Cuno AMiet o l’irlandese Roderic O’Conor, che ebbero modo, tramite la lezione di Paul Gauguin, di inserirsi nel processo di rinnovamento dell’arte europea. Fu un decennio ricco di reciproci scambi fra artisti, in cui anche Vincent van Gogh, dalla Provenza, fece sentire la sua sensibile voce. Fu lui, assieme a Gauguin, il caposcuola di quel ventennio di rinnovamento, prima della Secessione e del Simbolismo; ma sotto la loro egida, si mossero figure oggi meno note, che furono però interpreti di una pittura intensa e suggestiva. Fra questi, O’Conor, che la Nationa Gallery di Dublino celebra con una mostra di ampia prospettiva. Roderic O’Conor and the Moderns. Between Paris and Pont-Aven, racconta la nascita della pittura moderna in Europa nel cruciale momento del passaggio fra il realismo e l’astrattismo – preludio delle avanguardie del Novecento –, concentrandosi sul confronto tra la figura del pittore irlandese e i suoi colleghi della scuola di Pont-Aven, nell’arco temporale compreso fra il primi anni Ottanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, ovvero il periodo di maggior splendore per la pittura post-impressionista, prima dell’avvento delle avanguardie.
Nato a Castleplunket nella contea di Roscommon da facoltosa famiglia di ascendenze nobiliari, dopo gli studi superiori in Irlanda, anziché frequentare la London University, nel 1879 O’Conor decise di iscriversi alla Metropolitan School of Art, perfezionandosi poi all’Accademia di Belle Arti di Anversa, dove ebbe come insegnante Karel Verlat. Fu costui a fargli scoprire la pittura di Courbet e degli Impressionisti, e a far nascere dentro di lui la fascinazione per la Francia. A differenza di tanti suoi colleghi che, dopo uno o più “soggiorni d’istruzione” all’estero tornarono poi in patria più o meno arricchiti da altre esperienze pittoriche, O’Conor si sentiva irresistibilmente attratto dalla pittura francese, e nel 1887 decise di trasferirsi a Parigi, all’epoca indiscusso centro nevralgico dell’arte europea, e successivamente in Bretagna, senza far più ritorno in Irlanda, tranne per brevissimi periodi. La Francia esprimeva in quel decennio l’avanguardia pittorica europea, grazie alle innovazioni sull’uso del colore, all’immediatezza del tratto che superava il disegno preparatorio, a alla fascinazione per il dinamismo portato nella realtà dalle variazioni di luce. Pur natio della compassata campagna irlandese, O’Conor si sentiva pittore sanguigno, deciso a consegnare alla tela non una mera immagine, ma un modo di sentire.
I suoi inizi furono all’insegna del secondo Impressionismo, dipingendo fuori dallo studio e optando sia per i paesaggi cittadini sia per quelli campestri. Ma sentiva di non essere ancora giunto al cuore della sua ricerca, di avere ancora qualcosa da scoprire. L’Impressionismo gli appariva ormai datato, e non tardò a capire che la nuova avanguardia stava nella pittura di Gauguin. Per questo, sul finire del 1891 si trasferì a Pont-Aven.
La nascente civiltà industriale, l’espansione e il conseguente caso delle città, aveva spinto gli artisti di temperamento più tranquillo a cercare rifugio spirituale in campagna. Come in precedenza a Barbizon, anche a Pont-Aven era nata una sorta di scuola, il cui maestro indiscusso era appunto Paul Gauguin, la cui intuizione (fondamentale per lo sviluppo dell’arte moderna) fu di riprodurre la realtà sulla base del proprio stato emotivo, andando oltre gli effetti ottici e i contrasti cromatici dell’Impressionismo, che pure avevano svecchiata la staticità della pittura storica. La forma sintetica, l’eliminazione del chiaroscuro, i contorni ben marcati, sono i caratteri di uno stile che aprì una nuova fase nella storia dell’arte, interpretando la realtà dal punto di vista della psiche e non della semplice visione oggettiva. O’Conor riuscì a incontrare il maestro soltanto nel 1894, ma la sua lezione gli era già arrivata osservando le opere degli allievi. Il soggiorno a Pont-Aven fu decisivo per la carriera dell’irlandese, che probabilmente, fosse rimasto a Parigi, non sarebbe andato oltre il tardo Impressionismo, rimanendo ai margini della scena artistica.
Nella volontà di meglio inquadrare la pittura di O’Conor nella prospettiva della pittura d’avanguardia della fine dell’Ottocento, la mostra offre al pubblico anche una selezione di dipinti dello svizzero Cuno Amiet, oltre a opere di Gauguin, Armand Seguin, Paul Sérusier e altri esponenti della scuola di Pont-Aven. Sulla quale esercitò profondo fascino anche il tormentato Vincent van Gogh (presente con tre opere), che pur non essendosi mai stabilito in Bretagna, ebbe profonda amicizia con Gauguin, e frequenti scambi epistolari con il gruppo dei “bretoni”, alcuni dei quali si recarono da lui in Provenza. O’Conor lo scoprì e ne fece un secondo maestro, sviluppando due percorsi pittorici paralleli. All’inizio degli anni Novanta, subito dopo la tragica morte del collega, introdusse nella sua pittura quegli elementi anticipatori dell’astrattismo che ne avevano caratterizzato il drammatico stile. Paesaggio giallo, Pont-Aven (1892), pur nell’ampio respiro di alberi e campi, possiede una tensione e un dinamismo nuovi, suggeriti dalle pennellate “a strisce” e all’alterazione dei naturali toni dei colori. Un processo differente nello stile da quello di Gauguin, ma analogo nell’effetto, poiché anche in questo caso la realtà sulla tela risulta mediata e interpretata dallo stato d’animo del pittore, o del soggetto, come accade, ad esempio, in Testa di ragazzo con cappello, che O’Conor dipinse nel 1893. I campi e i boschi, i fiori e il mare, le donne e i bambini, furono i soggetti preferiti del pittore.
Sullo sfondo dell’ultima Belle Époque, la pittura moderna di Gauguin e Van Gogh – di cui anche O’Conor fu allievo indiretto -, segnava l’insofferenza verso la sempre più oppressiva civiltà industriale, e il paesaggio naturale diventava un ideale via di fuga dalla solitudine urbana. La Secessione di Klimt o von Stuck avrebbe indagato ancora più a fondo l’abisso in cui stava sprofondando la civiltà europea, ma ciò dipese anche da un differente clima politico. Francia e Olanda non stavano vivendo la crisi dell’Impero Asburgico o della Germania, e quindi i loro pittori potevano permettersi un’osservazione della realtà, se non proprio ottimistica, comunque assai meno tesa. E comunque, frutto di una sensibilità personale, come nel caso Gauguin e Van Gogh, e non del sentire di un’intera Nazione.
Con l’inizio del Novecento, e l’imminente tragedia della Grande Guerra, l’arte europea imbocca la strada dell’avanguardia astrattista, dalla quale O’Conor si mantenne sempre lontano; lui, nato nel 1860, apparteneva a un’Europa che stava per tramontare, ma fino al 1940, anno della sua morte, continuò tenacemente a riprodurla sulla tela.