I “conservatori” obbiettano che prodotte da Netflix, le pellicole sarebbero destinate ad solo pubblico degli abbonati. Ma crescono i “progressisti”, guidati da un certo David Cronenberg…
“Il cinema è evoluzione e non può restare ancorato al passato. Un po’ come i vinili, potrebbe diventare qualcosa di retrò”. Con parole soppesate ed eleganti, un grande come David Cronenberg si è incaricato di dire fra le prime parole – per molti quelle definitive? – attorno alla querelle che sta infiammando il post Mostra del Cinema di Venezia, molto più delle diatribe legate ai Leoni assegnati o ai film rimasti a secco di premi. Di che parliamo? Non ci stiamo troppo a dilungare, tutti ne avranno almeno sentito parlare fra Tg, giornali, siti più o meno specializzati: la diatriba che vede al centro la piattaforma di streaming Netflix, che ha prodotto la pellicola vincitrice del Leone d’oro, Roma, il film di Alfonso Cuarón, e di molti altri film protagonisti, da Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, dedicato agli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, a The Ballad of Buster Scruggs, dei fratelli Coen. Motivo? Prodotte da Netflix, le pellicole sarebbero destinate ad solo pubblico degli abbonati, o comunque passerebbero nelle sale con modalità sincopate e tempistiche imprevedibili, viste anche le differenze normative vigenti nei diversi paesi. Il tutto, sostanzialmente, porterebbe ad un declino di tutta la filiera, con un impoverimento culturale e con sperequazioni democratiche. Classiche polemiche destinate a tramontare in breve? Nemmeno per idea: e infatti quello che è interessante ora è seguire il delinearsi delle “parti” in campo, con analisi sociologicamente assai interessanti.
Inevitabile, da parte dei “conservatori”, il riferimento al Festival di Cannes, considerato distante da Netflix e attento a curare gli interessi dei cinema francesi, fino a vietare l’accesso al concorso ai film di cui non erano previste proiezioni nei cinema. A Venezia le scelte si sono invece concentrate sul valore intrinseco dei film, a prescindere da chi li fa e da dove si potranno vedere: con il direttore Alberto Barbera pronto nel rilanciare le parole di Cronenberg: “Tutte queste polemiche di oggi sulle trasformazioni che il cinema sta subendo sono solo effetto di una nostalgia, è invece importante guardare avanti”. Immancabili, le reazioni delle associazioni di settore Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), la Fice (Federazione Italiana Cinema d’Essai) e l’Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) contro la scelta di accettare il concorso film non destinati alla sala: “Iniquo che il marchio della Biennale sia veicolo di marketing della piattaforma Netflix“, tuonano nei comunicati, “che sta mettendo in difficoltà il sistema delle sale cinema italiane ed europee“. Ribadendo che “il Leone d’oro, simbolo della Mostra internazionale d’arte cinematografica da sempre finanziata con risorse pubbliche è patrimonio degli spettatori italiani: il film che se ne fregia dovrebbe essere alla portata di tutti, nelle sale di prossimità, e non esclusività dei soli abbonati della piattaforma americana”. Decisamente condivisibile la richiesta recapitata al Ministro dei Beni Culturali di “varare con la massima sollecitudine norme che regolino anche da noi come avviene in Francia un’equa cronologia delle uscite sui diversi media”.
Ma le prese di posizione di Cronenberg non hanno tardato a trovare proseliti, ed i social network hanno funzionato come sempre da volano per diffonderle al di fuori degli spazi dell’ufficialità. Caustico il giornalista e critico cinematografico Enrico Magrelli, che via Facebook ha commentato: “Gli esercenti si schierano contro Netflix. Peccato che la stessa energia mostrata contro Netflix (e le altre piattaforme) non ci sia stata, negli ultimi trenta o quaranta anni, per accogliere in sala i film, tanti, che hanno trovato solo due o tre schermi per essere proiettati. Senza contare quelli che la sala l’hanno solo sognata”. A fargli eco, il direttore di Best Movie Giorgio Viaro, con un post più articolato e strutturato: “ROMA è un’opera di due ore, in bianco e nero, senza attori famosi, che racconta la storia di una donna delle pulizie, e in cui per quasi metà della durata non accade nulla di rilevante. Senza il sostegno delle piattaforme di streaming e dei nuovi media in generale, film del genere sarebbero destinati a scomparire, o a esistere solo in una forma povera, estremamente indipendente, che poi è la stessa cosa (ROMA è un film che racconta una storia “piccola” con una meravigliosa grandezza di mezzi espressivi). E sarebbero destinati a scomparire prima di tutto perché la gente in sala NON VA A VEDERLI in misura tale da sostenerne i costi: sono quasi certo che se Roma seguisse il percorso tradizionale, nei cinema tirerebbe su due euro, quattro caramelle e un cesto di pop corn. Il problema non è Netflix e non sono gli esercenti, il problema – se così vogliamo chiamarlo – è sempre il pubblico, il problema siamo sempre noi”.