L’arte è fatta di sperimentazioni. Galleristi, curatori e fruitori trovano sempre grande curiosità per le opere che destano scalpore, che rompono gli schemi o che, più semplicemente, aprono nuovi scenari.
Non di rado avremmo voluto pensarle noi, nessuno lo neghi. A volte però si può anche partecipare attivamente a ciò che altri hanno progettato. La performance, genere artistico sempre più frequentato, è in grado di mostrare l’artista mentre crea, su un canovaccio o su un programma preciso, ma anche di coinvolgere chi è andato solo a curiosare. Capita anche che gli artisti stessi cerchino, nei giorni precedenti, persone che vogliano partecipare attivamente alle loro opere.
La Grande Sete di Sasha Vinci e Maria Grazia Galesi è stata l’occasione per una ventina di volontari, io tra questi fortunati, di stare dentro il filo del ragionamento della performance pensata, da questi artisti, appositamente per Border Crossing, evento collaterale di Manifesta12, con il patrocinio del Comune di Palermo, il supporto della galleria aA29 Project Room (Milano/Caserta), la collaborazione di Site Specific e Spazio Y e dell’Associazione Culturale SEM.
Il 21 ottobre 2018, le curatrici Lori Adragna e Serena Ribaudo hanno dato appuntamento alle 14:00. I candidati si presentano negli splendidi spazi monumentali della chiesa di Santa Maria dello Spasimo di Palermo dove alle 17:00 sarà inaugurata LA GRANDE SETE. Un appuntamento al buio, o quasi. Chi partecipa sa che avrebbe preso parte ad un tableau vivant dedicato all’acqua e alla rinascita. Sasha Vinci e Maria Grazia Galesi ci accolgono nella loro visione immaginifica densa di fermenti che volevano far riemergere dall’oblio e dalla distrazione: le forze più originarie ed interne della vita naturale, universi di meraviglia, aperti alle contaminazioni e trasmutazioni.
Veniamo invitati a salire sul palco di legno che avrebbe accolto i nostri movimenti, mentre turisti con il naso all’insù entrano ed escono dalla navata principale della chiesa a cielo aperto. Vinci e Galesi, per coinvolgerci maggiormente nella loro opera, spiegano la loro riflessione su quel fenomeno passato nelle cronache dei giornali come “La grande sete di Sicilia”, un caso sociale sulla illegalità dell’approvigionamento dell’acqua.
La gestione dell’acqua come risorsa principale per la vita quotidiana, ma anche per le coltivazioni e per l’allevamento è stato uno dei perni su cui il sistema malavitoso è riuscito a costruire il suo potere. Non solo, continuano Vinci e Galesi, a causa dell’inquinamento e di sprechi illogici, l’acqua nei prossimi anni sarà uno dei problemi più gravi che l’umanità si troverà a dover affrontare. Piani di intervento internazionali vengono sviluppati e progettati per regolare quella che di fatto si prospetta, e in alcune zone del pianeta lo è già di fatto, emergenza acqua.
Il nostro sguardo si fa serio, l’acqua, il futuro, la vita, non si tratta più di partecipare ad una performance, di giocare a fare gli artisti, si tratta di essere presenti realmente, non solo con il corpo, ma di raccontare qualcosa che ha un senso preciso: si tratta di esser-ci, come chiedeva Heidegger, di vivere realmente senza cadere nella mondanità e nell’affaccendarsi vorticoso, spesso senza meta.
Vinci e Galesi arricchiscono il loro ragionamento, collegano queste premesse con il territorio che accoglie la loro performance. LA GRANDE SETE trae ispirazione dall’antico nome della città di Palermo, Zyz, che in fenicio significa Fiore. Gli artisti fanno loro questo nome, fiore, zyz, che sembrerebbe fare riferimento all’antica conformazione urbana della città che, attraversata da due fiumi, il Kemonia ed il Papireto, ricordava il profilo di un fiore.
La poetica del fiore, che contraddistingue la ricerca del duo Vinci/Galesi, anima LA GRANDE SETE e diventa un’azione civile, un’opera politica che parla di pluralità e mostra un’umanità pronta ad emergere dalle ombre del presente e che desidera essere al centro della progettazione e realizzazione di nuovi mondi possibili, equi e sostenibili.
Il tempo passa e gli artisti indicano ai volontari dove posizionarsi sulla scena: sulla panca, sui gradini, seduti o in piedi, consegnano bastoni di fiori, sfere colorate dai petali di fiore, uno scialle adorno di fiori variopinti, il pavimento comincia ad essere puntellato di petali di fiori. Tutti noi, non più ospiti ma padroni di casa del progetto, infiorati ad arte prendiamo confidenza con il posto in cui dobbiamo stare seduti o in piedi: tra qualche minuto daremo vita ad un tableau vivant in cui i nostri corpi perderanno una parte della loro caratteristica per ricoprirsi di fiori. In testa, sulle gambe, sull’intero corpo, o tenuti in mano è un gioco di colori e un fiorire di progetti, di vita, di futuro. I volontari della performance diventano volontari del futuro, della vita, della semina dei buoni propositi. Portano in mano l’uovo cosmico, l’asse del mondo, la coppa della vita, portano agli occhi dei visitatori i segni antichi di un mondo ancora difendibile, che può ancora rifiorire.
Consci di ciò i venti partecipanti abbandonano la prospettiva di semplice goliardia e allegria ed entrano nella consapevolezza del gesto che stanno per compiere. Quella ventina di persone insieme a migliaia di crisantemi e gerbere, danno vita ad una scena allegorica che diventa simbolo, un atto di protesta per reagire alle deformazioni del presente e dar vita a nuove visioni capaci di suggerire cammini alternativi.
Qualche minuto prima delle 17:00 non viene fatto più entrare nessuno nella sala per prepararsi, le spiegazioni sono finite ora si deve agire. Ognuno di noi prende, con religioso silenzio, il proprio segno fiorito: il fiore diventa quell’arma che Vinci e Galesi hanno scelto per indurre a riflettere su quanto siano importanti e incisive le azioni di ogni singola persona all’interno di una società. La musica ritmica e cosmica comincia a risuonare nell’abside. Dalla mia posizione, in piedi su una panca di ferro, con un casco di fiori che copre il mio volto cerco di sbirciare cosa accade. Lentamente entrano i fruitori, in silenzio, indicano il palco, aspettano un gesto, uno sguardo. I miei compagni di avventura muovono lentamente una mano sui fianchi, una gamba verso il gradino, un barbuto signore protegge un bastone di fiori che altro non è che l’asse del mondo. I miei vicini di panca, entrambe seduti con i piedi nudi, come a cercare un contatto con la terra, si guardano, portano con gioia una coppa di fiori e un cappello a punta che si alza come una montagna. Muovo la mia testa coperta di fiori verso destra per cercare lo sguardo dei visitatori per guidarli verso il mio compagno al centro della scena che indossa una tunica di fiori, i suoi occhi profondi catturano l’attenzione. Vorrei far vedere quanto sia bello un mondo fiorito.
Marcello Bocchieri, il fotografo scatta le foto, sento un click dopo l’altro, cosa inquadra la macchina fotografica non lo so, ma sento di dovermi muovere nel modo giusto, naturale: di questo gesto collettivo, artistico, sociale e politico deve restare l’armonia, altrimenti tutto sarà perduto.
BORDER CROSSING è un progetto di Bridge Art in collaborazione con Dimora OZ e Casa Sponge selezionato tra gli eventi collaterali della Biennale Manifesta12, Palermo, dal 16 giugno al 4 novembre 2018. Il format BORDER CROSSING prevede una sinergia tra diversi centri indipendenti diffusi sul territorio italiano, attivi nel campo dell’arte contemporanea, dove lo spirito della comunità è un tutt’uno con quello della ricerca.
Il progetto ha ricevuto il patrocinio del Comune di Palermo e rientra nelle iniziative di Palermo Capitale della Cultura Italiana 2018.
BA – Bridge Art / bridgeart.it / info.bridgeart@gmail.com / bordercrossing2018@gmail.com
aA29 Project Room / aa29.it / info@aa29.it / +39 329 8589624 / +39 340 9691313
Nelle foto: LA GRANDE SETE, 2018, performance chiesa S.M: dello Spasimo – Palermo, ph. M. Bocchieri, courtesy the artist and aA29 Project Room