Vincenzo Agnetti è il nuovo personaggio di Storie Milanesi, progetto della Fondazione Adolfo Pini di Milano, volto a raccontare i protagonisti della cultura milanese.
Sedici personaggi per sedici luoghi: è questo l’obiettivo di Storie Milanesi, che mette a circuito sedici case museo, atelier d’artista, studi di architetti e designer per definire la storia artistica e culturale della città. La piattaforma digitale storiemilanesi.org è uno strumento virtuale che accompagna il viaggiatore in un percorso urbano inedito per guardare alla città, ai suoi quartieri e ai suoi luoghi più simbolici. Illustri collezionisti, artisti, architetti e designer trovano voce nei racconti scritti da Gianni Biondillo, che sceglie Milano come io narrante. Ed è proprio attraverso i personaggi della città che si possono delineare percorsi virtuali e reali che accompagnano il lettore da una soglia all’altra, nei diversi quartieri di Milano dove questi hanno abitato o lavorato.
A partire da ottobre, Vincenzo Agnetti è andato ad aggiungersi ai quindici “padroni di casa” già presenti nel percorso, ciascuno dei quali legato ad un’istituzione culturale della città. E così si arriva alle porte del suo studio, in via Macchiavelli 30, a due passi da Corso Sempione.
Vincenzo Agnetti è artista poliedrico, capace di immaginare e costruire punti d’incontro tra discipline diverse che appartengono ad un universo mentale che non si lascia imprigionare da steccati. Lavorò sempre su due fronti: da un lato i testi di critica, la letteratura e la poesia, dall’altro l’instancabile produzione di opere d’arte portate a termine con la frenesia di chi possiede l’inconscia consapevolezza di una fine prematura. Si osserva infatti tra il 1967 e il 1981 una certa furia creativa nella produzione concreta delle proprie opere, anticipata da un lungo lavoro di elaborazione e intima ispirazione che ha portato poi a delle singole sintesi estetiche, declinate in opere riferite a vari filoni di ricerca.
La mostra ora presente nello studio di Vincenzo Agnetti indaga il rapporto tra spazio, territorio, cultura e memoria, tema caro all’artista e al quale lavora con grande intensità tra il 1968 e il 1970, anni in cui la questione dell’abitare e il senso del luogo erano temi fortemente dibattuti, temi attuali allora come oggi. Spazio territorio cultura e memoria unitariamente costituiscono quindi una riflessione che riguarda non solo la società ma anche la soggettività, attraverso l’insieme di valori e norme che toccano il profondo della nostra anima.
L’esposizione prende dunque spunto da un’intervista rilasciata da Agnetti nel febbraio del 1972 al Corriere della Sera intitolata “Non dipingo i miei quadri”, in cui egli spiega gli intenti della sua operazione artistica. Un’intervista illuminante che aiuta a considerare Assiomi, Ritratti e Paesaggi come capitoli di una grande narrazione a puntate che si snoda sui piani dell’analisi e della ridondanza letteraria esplorando i due versanti di ogni discorso, quello concettuale e quello sottostante, intuitivo e poetico. Ancora prima di essere captate dallo sguardo, le scritte grazie alla loro corposità e al loro rigore estetico vengono viste nella loro immediatezza, calamitano lo sguardo. La parola diviene icona veicolando il pensiero e spingendolo verso un discorso creatore di riflessioni. Agnetti – grazie alla contaminazione della sua arte con discipline differenti – penetra così nelle fibre profonde della coscienza umana, giungendo direttamente al cuore prima che la mente possa comprendere.
Ad accogliere il visitatore nello studio è il multiplo del 1971 Spazio Perduto e Spazio Costruito, costituito da 9 tavole che riprendono parte del discorso sul rapporto tra spazio, cultura e memoria. Attorno al multiplo si snodano assiomi e feltri che suggeriscono un ragionamento su cultura e territorio con frasi fulminanti e diagrammi che approfondiscono e ampliano le tesi presenti nel multiplo.
Al piano superiore dello studio protagoniste diventano la poesia e l’intuizione: i feltri ci restituiscono il senso dell’abitare e della città come luogo in cui le contraddizioni del rapporto tra soggettività, memoria, cultura e territorio si manifestano lasciando in sospeso una domanda di utopia. Infine, a chiusura della mostra, si trova un lavoro che trasforma in evidenza implicita il rapporto tra questi elementi: Tre Villaggi Differenti. Tre vocali come tre tracce di lingue perse nella nostra memoria, e una casetta, il nostro villaggio, anch’esso probabilmente dimenticato. Quattro assiomi accompagnati dal suono del vento modulato dalla profonda voce di Vincenzo Agnetti.
Informazioni utili
Storie Milanesi – VINCENZO AGNETTI
Fondazione Adolfo Pini Corso Garibaldi 2, Milano
Tel. 02 874502 www.fondazionepini.net
Archivio Vincenzo Agnetti
Via Machiavelli 30, 20145, Milano
Visitabile su appuntamento
Mail: archivio@vincenzoagnetti.com