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Il Prado celebra l’inquieto genio di Bartolomé Bermejo. L’andaluso “fiammingo” che rinnovò la pittura spagnola nel ‘400

Bartolomé Bermejo e fratelli Osona, Trittico della Vergine di Montserrat, 1483-89, Cattedrale di Acqui Terme
Bartolomé Bermejo e fratelli Osona, Trittico della Vergine di Montserrat, 1483-89, Cattedrale di Acqui Terme

Il Museo del Prado ospita una retrospettiva in circa 50 opere sul più talentuoso e innovativo pittore del Quattrocento spagnolo, segnato da un carattere singolare e da una complessa storia personale. In prestito dall’Italia, anche il Trittico di Acqui Terme. A cura di Joan Molina Figueras, fino al 27 gennaio 2019.

Madrid. Nella rigida Spagna del secondo Quattrocento, ancora impegnata nelle dure battaglie per la Reconquista e la cacciata degli arabi dal suolo nazionale, anche l’antisemitismo era una caratteristica -e in parte anche conseguenza- dell’uso guerresco che in quegli anni si faceva della religione cattolica, estremo e orgoglioso vessillo (nell’ottica dell’epoca) per riottenere l’indipendenza, che sarebbe giunta nel 1492, dopo la caduta del Regno di Granada. Chi, nel tentativo di trovare una certa tranquillità, si convertiva al cattolicesimo, era comunque sempre oggetto di sospetti e congetture: fra coloro che vissero questa poco invidiabile sorte ci fu anche il talentuoso pittore Bartolomé Bermejo (1440 – 1501), maestro della pittura a olio che proprio in quell’epoca conosceva i primi sviluppi.

Nato a Cordoba, la sua giovinezza e la sua formazione sono ancora oggi avvolte nel mistero. Dove e come abbia appreso i rudimenti della pittura non è sicuro, ma sappiamo però, grazie ai frequenti scambi commerciali e culturali tra la Spagna e le Fiandre, che ebbe modo di conoscere le opere fiamminghe o le loro riproduzioni a stampa, apprezzate dagli intenditori d’arte spagnoli. E’ quindi lecito ipotizzare un periodo di formazione a Valencia, città aperta all’arte fiamminga e italiana, la cui conoscenza fu per Bermejo importante poiché lo stile dei fiamminghi influenzò notevolmente, sin dagli esordi, la sua evoluzione pittorica, e anche gli italiani esercitarono un certo fascino sulle sue prime opere. La prima a lui attribuita con certezza, risale al 1468, quel “San Michele che trionfa sul diavolo” eseguito per la chiesa della parrocchia di Tous, a Valencia. Bermejo si dedicò esclusivamente alla pittura religiosa, l’unica del resto apprezzata in un Paese, quale la Spagna, che in quel momento, come accennato, vedeva nella religione uno strumento di lotta, non soltanto di identità culturale e spirituale. Nonostante ciò, pur in soggetti tradizionali, portò una notevole aria di novità: mediante i fiamminghi Jan van Eyck e Hans Memling, suoi modelli di riferimento, introdusse nel contesto del quadro oggetti d’oro e d’argento, riproducendo gli effetti dei riflessi di luce sul metallo e rendendo in maniera assai precisa e realistica le decorazioni di mobili, tessuti, pavimenti, in un’epoca in cui la pittura comincia “a scendere sulla terra”. Tuttavia, Bermejo non si limitò al semplice perseguimento di uno stile altrui e apportò alle opere sue personali invenzioni: ad esempio, nel “San Michele” il fondo oro è ancora di gusto spagnolo e di stampo medievale mentre la figura è di chiara impronta fiamminga, con la minuziosa resa dell’armatura (che porta riflessa, sul busto, la Gerusalemme Celeste), il decoro e il drappeggio del mantello, così come attenta ed elegante è la resa della figura del committente, Antoni Joan.

Bartolomé Bermejo, San Michele trionfa sul Diavolo e il committente Antoni Joan, 1468. Londra, The National Gallery

Da Valencia, dove lavorò circa quattro anni, nel 1472 si trasferì a Daroca, cittadina del distretto di Saragozza. Qui frequentò la comunità degli ebrei convertiti al cattolicesimo e questo particolare fa ritenere che anch’egli avesse scelto di convertirsi per poter godere di una vita tranquilla. Così purtroppo non fu, poiché la moglie, anch’essa ebrea convertita, Gracia de Palaciano, fu più tardi perseguitata dall’Inquisizione e costretta a dure penitenze con l’accusa di indulgere nella pratica dell’ebraismo. Avvalorano la tesi della conversione di Bermejo numerose opere che si distinguono per zelo religioso fra cui il “Cristo della pietà: emerge qui l’ispirazione da modelli italiani, in particolare Giovanni Bellini e Antonello da Messina. Soprattutto, emerge lo zelo puritano perché il convertito Bermejo accentua la forza del Cristo che vince la morte, subìta per mezzo della condanna inflittagli da giudici ebrei. Sembrerebbe un’urgenza quasi ossessiva di dimostrare la sua aderenza alla religione, nel tentativo di evitare la sorte della moglie e di poter trovare un po’ di tranquillità. Purtroppo, anche nei secoli successivi la Spagna si sarebbe distinta per il suo atteggiamento di intolleranza verso gli ebrei, fra l’altro l’unica parte della popolazione con spiccate doti commerciali e imprenditoriali: la loro definitiva espulsione nel 1492 impedì lo sviluppo del Paese che, nonostante le immense ricchezze assorbite dalle colonie sudamericane, conobbe una fase di stagnazione endemica.

Bartolomé Bermejo, Cristo nella tomba sorretto da due angeli, 1470-75. Museo del Castillo de Peralada

Nonostante le difficoltà personali, la pittura di Bermejo continuava a regalare opere con interessanti elementi di novità, importanti nel percorso di sviluppo di un’arte che cercava faticosamente di affrancarsi dall’idealismo agiografico medievale. Il “San Giovanni Battista” (1470) è raffigurato in una posa non comune, con la Bibbia riposta sotto il braccio e in atto di giocare con l’agnello, simbolo del Cristo. La posa ne determina la corporeità, il suo essere uomo fra gli uomini, capace di indulgere in atteggiamenti di “leggerezza”, che rendono appunto più umana la statura. Nelle scene del “Cristo Redentore” Bartolomé Bermejo si ispirò alla Vita Christi, testo religioso tardo medioevale, nella versione di Valencia, per i riferimenti ai profeti dell’Antico Testamento. Tuttavia, le vesti in trasparenza sul corpo di Cristo risorto alludono ancora una volta alla dimensione umana, carnale, “quotidiana”, oseremmo dire. Tali invenzioni per l’epoca erano novità quasi assolute e non mancavano di suscitare l’ammirazione dei contemporanei, così come lo splendore dei colori, in particolare il rosso, l’azzurro e il verde. Altro elemento di profondo interesse nella pittura di Bermejo è la citazione di elementi arabi in numerose pitture, dei quali era a conoscenza grazie ai suoi spostamenti per la Spagna, anche in zone ancora sotto il dominio musulmano. La dinastia dei Nasridi, infatti, tenne il Regno di Granada fino al 1492, dopo aver dominato buona parte dell’Andalusia, e Bermejo era nato a Cordoba. Nell’”Arresto di Santa Engracia”, il pittore opera un interessante e affascinante mélange culturale: il paesaggio è di gusto fiammingo, così come i volti dei personaggi, mentre la spada della guardia in basso a destra, la tunica e il copricapo del governatore Daciano (il governatore della Spagna romana che nel IV Secolo condannò a morte la santa) e i finimenti dei cavalli, appartengono al mondo arabo. Da notare anche le splendide vesti di Engracia, riprodotte con minuziosa perizia.

Tuttavia, nonostante il talento, Bartolomé Bermejo aveva un carattere difficile (probabilmente esacerbato anche dalle difficoltà della sua condizione sociale di convertito): non onorava i contratti, anche se già firmati, se sopraggiungevano contrarietà, ad esempio per il compenso troppo basso o se gli venivano affiancati collaboratori che non riteneva suoi pari in fatto di capacità pittoriche o ancora se i gusti dei committenti gli sembravano troppo tradizionalisti. All’epoca, poichè una clausola frequente per inadempienza dei contratti era la scomunica Bermejo vi incorse più volte e ciò lo costringeva a cambiare spesso città di residenza. Per eludere le rigide regole corporative che vigevano nelle varie città in cui si muoveva, Bermejo si associava a pittori locali già iscritti alla gilda e ciò gli permetteva di ottenere incarichi senza troppa difficoltà. Tuttavia, ciò compromise in parte la qualità delle sue opere, perché non sempre i “soci” erano all’altezza -assai meno familiari di lui con la pittura fiamminga- perché più legati a motivi tradizionali e conservatori. Bermejo, comunque, si limitava a impostare la composizione e a realizzare le figure principali, se non soltanto i loro volti. I risultati migliori di queste collaborazioni li raggiunse con Martín Bernat e la mostra madrilena propone diverse opere realizzate insieme, nelle quali si nota la discreta capacità di Bernat di seguire il linguaggio fiammingo del maestro.

Bartolomé Bermejo, Morte e Assunzione della Vergine, 1468-72. Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie

Fra le preziosità della mostra, il “Trittico di Acqui” -noto come Tríptico de la Virgen de Montserrat (1483-89)- commissionatogli da Francesco della Chiesa, ricco mercante italiano che per alcuni anni abitò a Valencia dove appunto conobbe Bermejo. Originario di Acqui, il mercante donò l’opera alla cattedrale della città una volta tornato in patria. Prevalente -anche in questo trittico realizzato in collaborazione con i fratelli Rodrigo e Francisco de Osona– è il linguaggio fiammingo, che conferma quanto Bermejo si sia discostato, nell’arco della sua carriera, dalla paludata pittura spagnola tradizionale. Non si trattava ancora dei fiamminghi ispirati dalla Riforma, ma già si intravedevano quei caratteri “borghesi” e realisti che nel Cinquecento avrebbero viepiù caratterizzata la loro arte. Un guardare oltre, e altrove, che denota un personaggio inquieto, animato da sincero fuoco creativo e profonda curiosità per il nuovo, per la vita terrena, che purtroppo gli riservò situazioni non sempre piacevoli.

La “Piedad Desplà” è la sua ultima opera nota, dopo la quale di Bermejo si perdono le tracce fino al 1501, anno della scomparsa. A conseguenza di questi ultimi anni vissuti sotto silenzio, la fama di Bermejo si eclissò rapidamente tanto che soltanto all’inizio del Novecento si ricominciò ad apprezzare la sua pittura. Senza voler accendere velleità nazionaliste, sorge però il dubbio di cosa avrebbe potuto dare all’arte un pittore talentuoso come Bermejo se avesse potuto frequentare le corti rinascimentali italiane ed entrare in contatto con la raffinata cultura umanistica che costituì fonte d’ispirazione per i vari Michelangelo, Raffaello, Tiziano, e Mantegna. Probabilmente, anche Bermejo con il suo talento sarebbe stato un ben diverso cantore del Rinascimento, che in Spagna, non ebbe quell’afflato civile che fu invece proprio delle corti italiane.

Bartolomé Bermejo, Pietà Desplà , 1490. Cattedrale di Barcellona

Informazioni utili

Bartolomé Bermejo

Museo Nazionale del Prado,
Paseo del Prado, s/n, 28014 Madrid,
Spagna

09 ottobre 2018 – 27 gennaio 2019

www.museodelprado.es

Bartolomé Bermejo. L’andaluso “fiammingo” che innovò la pittura spagnola, a Madrid

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