Arte tra campi, fondamenta e canali. Se avete in programma di trascorrere qualche giorno a Venezia, vi suggeriamo qualche appuntamento da non mancare (ancora per poco!) nella città della laguna
Albert Oehlen e Dancing with myself a Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Pinault Collection
Nonostante il polo espositivo del magnate Pinault abbia già comunicato il suo piano espositivo per il 2019, restano aperte, ancora per pochi giorni, le due mostre “Albert Oehlen. Cows by the water” (fino al 6/01) e la collettiva “Dancing with myself” (fino al 16/12), rispettivamente nelle sedi di Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
La prima, una personale dedicata all’artista tedesco Albert Oehlen (1954, Krefeld, Germania), traccia un percorso sulla carriera di uno degli artisti più influenti dell’arte contemporanea, con oltre 80 opere, dalle più note a quelle meno conosciute, realizzate dagli anni ’80 ad oggi e provenienti dalla Pinault Collection e da importanti collezioni private e musei internazionali. Puntando sulla scenograficità del palazzo affacciato sul Canal Grande e su un allestimento inedito, che scardina ogni riferimento cronologico per sottolineare il ritmo che caratterizza l’arte di Oehlen, la mostra risulta una metafora del metodo di lavoro dell’artista: dove contaminazione e ritmo, improvvisazione e ripetizione, densità e armonia dei suoni diventano gesti pittorici.
La collettiva Dancing with myself, ospitata a Punta della Dogana, indaga l’importanza primordiale della rappresentazione di sé nella produzione artistica dagli anni ’70 a oggi e del ruolo dell’artista come protagonista e come oggetto stesso dell’opera. Attraverso 145 opere -con un nucleo di oltre 100 lavori della Pinault Collection- di artisti quali Urs Fisher, Alighiero (&) Boetti, Cindy Sherman, Bruce Naumann, Gilbert & George, Maurizio Cattelan, Damien Hirst e tanti altri, la mostra mette in luce il contrasto tra le diverse attitudini nell’approccio al ‘sé’: la malinconia e la vanità, il gioco ironico dell’identità e l’autobiografia politica, la riflessione esistenziale e il corpo come scultura, effigie o frammento, e la sua rappresentazione simbolica.
Osvaldo Licini alla Peggy Guggenheim Collection
Fino al 14 gennaio Palazzo Venier dei Leoni, sede della Peggy Guggenheim Collection, ospita la mostra “Osvaldo Licini. Che un vento di follia totale mi sollevi”, curata da Luca Massimo Barbero, di cui vi abbiamo parlato qui. Tra angeli ribelli, l’esplosiva fase dell’astrattismo italiano, le ‘Amalassunte’ e una serie di lune, la retrospettiva è una rivelazione su uno degli artisti più intimi e nascosti dell’arte italiana. In undici sale espositive, oltre cento opere ripercorrono il dirompente quanto tormentato percorso artistico di Licini, la cui carriera fu caratterizzata da momenti di crisi e cambiamenti stilistici apparentemente repentini e percepibili nel percorso, che si rivela per il visitatore un’esperienza singolare, a contatto con un artista che si è distinto all’interno della storia dell’arte del Novecento per risultati di assoluto lirismo e poeticità.
In contemporanea con la retrospettiva dedicata ad Osvaldo Licini, le Project Rooms della Peggy Guggenheim ospitano una mostra dedicata alla Biennale del 1948, dal titolo “1948: la Biennale di Peggy Guggenheim”. La mostra, di cui vi abbiamo già parlato qui, ripercorre, attraverso documenti di archivio, fotografie, opere inedite e un modellino, la partecipazione della collezionista come curatrice del padiglione Greco, in una delle Biennali più sensazionali e rivoluzionarie della storia.
Willy Ronis alla Casa dei Tre Oci
Fino al 6 gennaio alla Casa dei Tre Oci, dimora novecentesca costruita sull’isola della Giudecca al centro del bacino di San Marco, ospita un grande omaggio al fotografo francese Willy Ronis (1910-2009). La mostra, dal titolo “Willy Ronis. Fotografie 1934-1998” è la più completa retrospettiva in Italia del grande fotografo francese, che, insieme a grandi maestri quali Brassaï, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Jacques-Henri Lartigue e altri, è stato uno dei maggiori interpreti della fotografia del Novecento. Con 120 scatti, tra cui una decina di fotografie inedite dedicate a Venezia, insieme a documenti, libri e lettere mai esposti prima, la mostra, che dalle sale offre scenografici scorci su Piazza San Marco e il suo Palazzo Ducale, ci introduce nel microcosmo del fotografo, costruito partendo dai personaggi e dalle situazioni tratte dalla strada e dalla vita di tutti i giorni, che si rivelano sorprendenti nei suoi scatti.
Tintoretto tra le Gallerie dell’Accademia e Palazzo Ducale
In occasione dell’anniversario dei 500 anni dalla nascita, Venezia, sua città natale -che lo ospitò per tutta la vita, e che ancora custodisce gelosa una grandissima parte della sua produzione artistica- celebra uno dei suoi più grandi concittadini, Jacopo Robusti, meglio conosciuto come Tintoretto. Fra le numerose iniziative, tra mostre, percorsi, restauri e aperture straordinarie, spicca un grande progetto, che ha visto il suo culmine in due mostre -visitabili fino al 6 gennaio- organizzate dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, in collaborazione con le Gallerie dell’Accademia e la National Gallery of Art di Washington.
La prima mostra si focalizza sulla prima produzione dell’artista. “Il giovane Tintoretto”, la mostra presentata alle Gallerie dell’Accademia, ripercorre in circa 60 opere -tra dipinti, documenti e disegni- il primo decennio di attività del pittore veneziano: dal 1538, anno in cui è documentata la sua prima attività indipendente, al 1548, data della sua prima opera pubblica, il Miracolo dello schiavo per la Scuola Grande di San Marco, oggi inestimabile vanto delle Gallerie dell’Accademia. La mostra indaga un periodo ancora poco limpido e dibattuto della vita del Tintoretto: quello della sua formazione, non facilmente riconducibile a una bottega o a una personalità individuata. Il percorso comprende un nucleo di opere provenienti dalle stesse Gallerie, affiancate a prestiti provenienti dalle più importanti istituzioni pubbliche e private del mondo: dal Louvre alla National Gallery di Washington, fino al Museo del Prado di Madrid, agli Uffizi, al Kunsthistorisches Museum di Vienna e alla Courtauld Gallery di Londra.
Palazzo Ducale ospita invece “Tintoretto 1519-1594”, una mostra che permette -attraverso 50 dipinti, 20 disegni autografi e i famosi cicli realizzati per Palazzo Ducale tra il 1564 e il 1592- di riscoprire l’approccio non convenzionale e visionario di un pittore che seppe sfidare le tradizioni e innovare tecniche, stili e iconografie, segnando un punto di svolta nella storia della pittura veneziana del Cinquecento. Il percorso si integra perfettamente con la mostra che indaga la sua produzione giovanile, e presenta, anche in questa sede prestiti eccezionali: ben 5 opere dal Prado di Madrid, uno dei capolavori del Kunsthistorisches Museum di Vienna, Susanna e i vecchioni (1555-1556) e molti altri dall’America. Emblematici e rivelatori sono i due autoritratti con cui si apre e si chiude il percorso espositivo, eseguiti dal Tintoretto uno all’inizio e uno alla fine della carriera, prestati rispettivamente dal Philadelphia Museum of Art e dal Musée du Louvre.