Unica donna all’interno del London Group, Paula Rego esprime una pittura colta e profonda, raccontata a Parigi attraverso settanta opere fra disegni e dipinti, in una retrsopettiva di confronto fra l’artista e le opere che l’hanno ispirata al Musée de l’Orangerie.
Con il sostegno della Fondation Calouste Gulbenkian. Fino al 14 gennaio 2019, la mostra è a cura di Cécile Debray.
Anche se la figurazione non sembra costituire più il principale interesse degli artisti contemporanei, ciò non toglie che si possa ancora imbattersi in artisti legati alla “tradizione”, capaci di esprimere una poetica estetica ed emotiva strettamente legata alla realtà spirituale dell’essere umano. Un’aura di drammatica, mediterranea solarità, affiancata da un sottile ma cupo fatalismo, ammanta l’opera pittorica di Paula Rego (Lisbona, 1935), raffinata interprete dell’anima portoghese sfumata all’apparenza in una dimensione ludica e onirica, e in realtà proiettata però sullo sfondo del sentire contemporaneo, con suggestioni dal mondo del teatro, della letteratura, della poesia.
Rego è pittrice dalle molteplici influenze, propugnatrice di un’arte che può essere definita una commedia umana, prendendo in prestito un titolo di Balzac. La sua non è però una narrativa visiva naturalista, ma affonda le radici nell’opera drammatica di Goya, nella monumentalità scultorea di Rodin e Gauguin, nell’angoscia di Bosch e Kubin, nel Simbolismo di Redon e nella letteratura proto surrealista di Lautreamont e Villiers de l’Isle-Adam.
Formatasi a Londra negli anni Cinquanta, presso la Slade School of Fine Art, entrò in contatto con il cosiddetto London Group, storico rivale della Royal Academy of Arts e corrispondente inglese del Salon des Independants. Qui conobbe David Hockney, con cui espose per la prima volta nel 1962, già dimostrando interesse per il mélange fra arte contemporanea e tradizione più antica.
La mostra propone il confronto con quegli artisti ai quali Rego ha guardato e che hanno ispirato il suo stile; è quindi occasione per ammirare alcune incisioni di Francisco Goya e David Hockney, nonché pitture di Louise Bourgeois, Edgar Degas e altri artisti fra loro molto diversi ma che dimostrano l’apertura di Rego verso le epoche storiche dell’arte. Tessere di un mosaico non facile da definire, data la particolarità dell’immaginario della pittrice, che si muove fra dimensione onirica, psicologia, ludica, tragica, grottesca, partendo da un teatrale impianto compositivo di gusto barocco. Vi si ritrova il mondo femminile in lotta contro la società patriarcale, le atmosfere fiabesche della tradizione popolare, il mondo animale raccontato con vena surreale e simbolica. E infine, la controversa realtà dell’infanzia: da un lato un’età magica, fiabesca, quando l’innocenza è il filtro attraverso cui guardare il mondo, fiduciosi di tutto e di tutti.
Nella realtà quotidiana, troppo spesso l’infanzia è purtroppo violata, sporcata dalla malvagità e dall’incoscienza degli adulti, responsabili di guerre, massacri, distruzioni, di cui i bambini sono le vittime innocenti, quando non accada che siano vittime di maltrattamenti in famiglia, o debbano subire le conseguenze di una vita grama che i genitori non hanno saputo alleviare. Eppure, in mezzo a tanta desolazione, l’innocenza dell’infanzia riesce a costruirsi una sua dimensione altra, fatta di magia, di tenerezza, di spensieratezza, che quasi sembra un regalo non meritato per questa malvagia realtà, dove gli adulti di oggi sono stati i bambini di ieri. Per tramite della sua pittura, Rego esprime un rapporto controverso con la realtà e la società, di cui mette in luce le contraddizioni e le miserie, però con un sottile senso di pietà, alla maniera del Gattopardo, cosciente di come l’umanità sia tutta infelice, e sia atto di viltà non provare un’amara comprensione per le nefandezze che commette. Nefandezze che paradossalmente si alternano a momenti di poesia, di comunione spirituale, di apprezzamento per quanto di bello possa esserci nel mondo. Ne sono un esempio le tele dedicate alla musica, alle danze, alle feste popolari, con l’umanità che per un breve attimo sembra capace di riconciliarsi con se stessa e l’esistenza.
Rego, in quanto donna, è sensibile anche alla tematica di genere, che nella seconda metà del Novecento entrò con decisione nel dibattito sociale. Il suo è un femminismo viscerale non scevro però di sofferta poesia con evidenti richiami al quotidiano: Angel sembra immortalare una moderna Giovanna d’Arco, ma mentre nella destra stringe una spada, nella sinistra tiene una normale spugna per le pulizie domestiche, prosaico richiamo alla fatica quotidiana di molte donne, che relegate in casa devono lottare per affermare se stesse, o semplicemente per essere rispettate dai rispettivi compagni. Una condizione vissuta con una consapevolezza sempre crescente a partire dagli anni Settanta, non senza sofferenza, che Rego sintetizza nell’emblematico In the Wilderness, una struggente, monumentale pittura ispirata a Rodin per il plasticismo del corpo della donna, che richiama nei colori scuri i paesaggi del norvegese Harald Sohlberg; ma nel fervore della preghiera si avvicina alla forte tradizione cattolica del Portogallo settentrionale. In realtà, l’opera non ha un significato religioso in senso stretto, ma omaggia soltanto la silenziosa sofferenze di tante donne. Nella realtà quotidiana delle quali non c’è purtroppo posto per la poesia, perché la vita deve essere affrontata in maniera muscolare. A questo alludono le sue ballerine, ben lontane dalla grazia di quelle dipinte da Degas, e assai più vicine, invece, alla possanza fisica delle indigene di Gauguin. Figure terrene, non idealizzate né frivole, nemmeno particolarmente eleganti, ma nei cui sguardi splende la determinazione a cercare l’equilibrio dell’esistenza, di cui appunto la danza è metafora.
Nella sua vasta produzione, Rego tocca corde di profondità intellettuale, e non soltanto sociale, con le pitture di scene quotidiane declinate in chiave teatrale; l’ampio uso della maschera ricorda la drammaturgia di Pirandello, le ipocrisie dell’essere umano, la sua difficoltà a mostrarsi e a conoscersi. Scene vivaci, dinamiche, piene di figure colorate, pose grottesche, ghigni sardonici, creature surreali; vi si percepisce l’eco di Bosch, Brueghel e de Chirico, con la loro umanità misera e grandiosa, sempre in equilibrio fra reale e soprannaturale.
Rego è pittrice e poetessa insieme, capace di tradurre in immagini le contraddizioni e le aspirazioni dell’umanità, attraverso un linguaggio artistico colto e suggestivo. Purtroppo, il suo nome è relegato ai margini della scena contemporanea, schiacciato dalle varie “star” del mercato e della provocazione, quando invece è di arte come questa che si sente il bisogno, densa com’è di eleganza e riflessioni umanistiche.
* Nella foto di apertura:
Paula Rego-The dance, 1988 Crédit photo Private Collection-Bridgeman Images