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Roma di Alfonso Cuarón: analisi neorealista sulla natura della crisi

Roma di Alfonso Cuarón

Roma di Alfonso CuarónRoma di Alfonso Cuarón, Leone d’Oro alla 76 Mostra internazionale del cinema di Venezia: analisi neorealista sulla natura della crisi

Dopo cinque anni dal successo di Gravity (Sandra Bullock e George Clooney), che vinse sette Oscar su dieci nomination e dopo quattordici anni da quello di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Cuaròn è tornato a far parlare prepotentemente di sé con una pellicola che lo riporta, in parte, alle origini della sua carriera (Y tu mama tambièn, 2001), distaccandosi quasi completamente dal formato blockbuster che tanto fama gli ha regalato.
Dopo un acceso dibattito sulla scelta di portare alla Mostra del cinema di Venezia un film prodotto da Netflix (e di premiarlo, per giunta), Roma ha goduto di una distribuzione limitata, sia in Italia che all’estero, vedendo salire rapidamente le sue quotazioni per la corsa verso gli Oscar.

La vicenda si svolge tra gli anni il 1970 e il 1971 a Roma, un quartiere di Città del Messico e ha come protagonista Cleo, una domestica che, dopo l’abbandono del compagno, si ritrova a dover gestire da sola una gravidanza. Sullo sfondo le vicende della famiglia alto-borghese alla quale presta sevizio, che sta vivendo parallelamente una dolorosa perdita. Il tutto mentre il quadro socio-politico del Messico è caratterizzato da un clima di rivolte studentesche e popolari (una delle sequenze più drammatiche mette in scena il tragico massacro del 10 giugno 1971, El Halconazo).Roma di Alfonso CuarónÈ subito evidente come Cuarón cerca di proporre un parallelismo tra due mondi molto diversi tra loro. Due classi, quella di Cleo e quella della famiglia in cui lavora, che confermano lo stereotipato divario che definisce il mondo dei ricchi e quello dei poveri, ma che viene anche in qualche modo smentito dal parallelismo stesso. Le due donne rappresentative delle due classi (Cleo e la padrona, Sofia), stanno entrambe vivendo un momento molto difficile che le colpisce nella loro identità. Vero è che le due donne hanno situazioni molto diverse da affrontare: Sofia deve superare la perdita del marito che la tradisce per un’altra donna, mentre Cleo è tormentata dalla paura di perdere l’unica sua fonte di guadagno e di sussistenza a causa dell’avvento di un figlio che dovrà gestire da sola. Ciò che il regista mette in mostra è proprio come questo parallelismo, due strade che sembrano non poter coincidere in nessun punto nella storia sociale dell’uomo, è in realtà molto labile, facendo di quel divario un luogo di intersezione. “Siamo donne e rimarremo sempre da sole”, dice a un certo punto Sofia alla propria domestica, Cleo.
Oltre ad avvicinare due mondi, Roma sembra avvicinare anche due epoche lontane: il Messico degli anni ’70 e le lotte femministe della più stringente contemporaneità (#metoo). Alfonso Cuaròn trova in questo mondo di lotte tutte al femminile, oltre che a quello dell’eterna incomprensione della logica dei rapporti sentimentali, un modo per donare alla narrazione una delicatezza d’animo che non può fare a meno di toccare il pubblico.Roma di Alfonso CuarónLa cura stilistica tuttavia sembra la vera originalità dell’opera: ogni frames del film sembra una diapositiva in bianco e nero degna di essere stampata e incorniciata. L’assenza di colonna sonora da forte rilievo all’interiorità dei personaggi che si evolve nel dipanarsi della vicenda stessa. La ripresa è caratterizzata da panoramiche circolare, e i protagonisti si spostano come sospinti dal movimento ininterrotto di una telecamera.

Alfonso Cuarón da vita ad un quadro neorealista che illustra le meccaniche del moto che regolano una crisi. Dalla tecnica di ripresa alla dinamica della storia, si ha a che fare con un’esperienza circolare doppia, che stimola inevitabilmente una riflessione sulla ciclicità del tempo, all’interno della quale tutto sembra tornare con un moto rivoluzionario interiore (e non solo) al punto di partenza.

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