A Roma l’artista Nicoletta Braga allestisce uno strutturato progetto socio-politico che indugia sulla condizione della donna raccogliendo fondi per l’Asilo Kobane, nel Kurdistan
“Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”. Quante volte è risuonato nelle orecchie questo monito. Un monito che, nella tradizione cristiana, e nel medioevo in particolare, alludeva all’onnipresente ossessione per la morte, e alla svalutazione di questa vita, come passaggio in una valle di lacrime. Quelle lacrime che dissolvono l’aggregato di terra che siamo, facendone polvere. Designa perciò l’assoggettamento di questa vita, in quanto precaria e apparente, a un mondo vero, di cui i nostri giorni quotidiani sono pura funzione. In sé non vale nulla, questa vita. Epperò, quel monito può assumere un senso opposto. Un senso di dar valore alla vita in quanto tale, alla potenza della vita immanente. All’infinitezza del finito, insomma. Non c’è che cenere, polvere. Siamo terra, fango. Siamo atomi, nient’altro che atomi destinati alla dissoluzione. Così come siamo venuti all’essere, così verremo meno. In questo frammezzo tra due movimenti di un nulla infinito, c’è la bellezza del passaggio. La bellezza e la meraviglia dell’essere che è, dell’essere che viene, dell’essere che si trasforma. Siamo polvere, sì, ma polvere di stelle. Che bellissima cosa che la scienza ci abbia detto che è proprio così, materialmente così: è contemplando questa verità che diverremo stelle danzanti.
Cambiamento di Stato, dunque. Prima di tutto, in questa opera/happening c’è questo: la trasformazione del tutto, il suo divenir-polvere. Un tutto che è infinito e senza centro, come il dio dei mistici medievali. Un dio anarchico. È una meditazione ontologica, e ateologica, sull’essere e sull’uomo. E se l’essere non è che un dio anarchico – governato da leggi immanenti, che coincidono con la stessa natura delle cose -, così anche l’uomo. Il fatto è che non lo sa, l’uomo, di esserlo.
Nella Storia gli insorti, gli uomini del margine, provano a enunciarlo, fanno apparire questa verità, in spazi e tempi intermittenti. Si genera un lampo di verità, ci si abbevera all’abbaglio di un essere che si fa, e che genera mondi nuovi, dove si rivela la natura dell’uomo. Poi, sempre, si torna all’ordinario, alla meschinità del porto sicuro, alla paura del mare aperto, della deriva. Ma non si è più gli stessi di prima, mai. Perciò il mondo dopo la Comune di Parigi non è più stato lo stesso. Può tornare la barbarie, fino al suo punto più oscuro e terribile, ma la Comune c’è stata. Così come c’è stata l’utopia libertaria della Spagna del ‘36. Così come c’è oggi la luminosa esperienza del Rojava – che il dio anarchico ce la conservi a lungo. Lì l’idea di Stato come la conosciamo è messa in discussione, è superata. In un pratica ribelle e comune.
L’arte è rappresentazione, ma non può essere solo questo: così come Marx diceva della filosofia, dei filosofi che finora hanno interpretato il mondo ma adesso devono trasformarlo, anche Cambiamento di Stato decide di intervenire nella realtà. Di essere una pratica trasformativa. Perciò il suo essere finalizzato a una raccolta di fondi per l’asilo di Kobane è un tutt’uno col suo senso, non qualcosa di secondario. Quest’opera è prassi trasformativa dal suo concepimento alla sua finalizzazione. La scultura nasce per essere disfatta. È la disfatta di ogni cosa che si presume stabile, di ogni identità e di ogni confine, di ogni Stato.
Project Room Macro Asilo-Asilo Kobane
Mappe e bandiere del Kurdistan, materiali informativi, manifesti e video sull’Asilo di Kobane, una scuola-orfanotrofio per i figli dei caduti contro l’ISIS. All’ingresso un testo di Nicoletta Braga e uno mio. Sulla parete destra 10 teste montate su basi di ferro, teste bendate e/o imbavagliate, intitolate Prigioni. Legati e imbavagliati dallo Stato, bendati dalla propaganda. Sulla parete opposta una schiera di 7 di 30 disegni matita e carboncino e inchiostri, di un metro per due, con le guerriere dagli occhi verdi che riprendono il mio romanzo su Avesta (Giunti ed.) che ci guardano sorridenti e minacciose, nude o seminude, col berretto frigio e la fionda in mano. Sulla parete interna dell’ingresso, un agrume meravigliosamente innestato (forma parte della serie Innesti) fa bella mostra di sé, introducendo il tema della ibridazione tra naturale e artificiale. Ai suoi piedi riposa sognando La bella addormentata, scultura a dimensioni naturali, calco in gesso, anche lei, con il berretto frigio e la fionda in mano, una specie di libertà che guida il popolo ma addormentata sul drappo nero dell’Anarchia. Cullo il suo sonno con un audio in loop dove canto la bella che guarda il mare di Trovajoli. La bella addormentata, tra là là, tra là là, tra là là… ha un nome che fa paura, libertà, libertà, libertà…
Al centro della sala c’è un tappeto orientale ricoperto di terra e di sabbia dove riposa una figura analoga intitolata l’immortale, è la scultura di scena clou della performances del 2 febbraio. Sul pavimento cinque tronchi di piramide intitolati Stella, formano una stella a cinque punte, che si rispecchia nella bandiera del PKK, mentre sul fondo della sala, custodite in tre grandi teche di plexiglass, troviamo le origini del mondo, frammenti di anatomie che richiamano il celebre capolavoro di Courbet. Sospeso nell’aria un albero morto intitolato albero volante, che si specchia a sua volta nell’Innesto di agrumi vivi. La performance, della durata di 35 minuti, si è svolta con l’artista che estraeva dal corpo mummificato della Immortale numerose protesi quali lenti a contatto, impianti dentali, un seno di silicone, un hard disk, un femore in titanio e altro, formando in una grigia scatola metallica una sorta di ex voto laico. Rastrellando poi tutta la terra è tornata alla terra, la materia alla materia.
Al termine di questa commovente azione, è intervenuta Ozlem Tanrikulu, membro di UIKI – Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia. La compagna ha ricordato ai presenti il Kurdistan che cresce nel Confederalismo Democratico, le condizioni di Ocalan, e ha insistito moltissimo sulla questione che nessuna persona, nessuna società, può emanciparsi o liberarsi senza rivedere completamente la condizione della donna. Il terzo giorno l’installazione si presentava così come descritta ma senza Immortale. Nessuna delle opere esposte è in vendita, invece sono tutte in regalo, sono il dono dell’artista a chi vorrà versare contributo significativo per l’Asilo di Kobane alla UIKI – Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia.
Le donazioni potranno essere effettuate a favore di:
Ufficio di Informazione del Kurdistan In Italia Onlus
CAUSALE: N. Braga Macro Asilo-ASILO KOBANE
CODICE FISCALE: 97165690583
IBAN: IT89 F 02008 05209 000102651599
BIC/ SWIFT: UNCRITM1710
http://www.uikionlus.com/
Marco Rovelli