BURRI la pittura, irriducibile presenza è la mostra dedicata dalla Fondazione Giorgio Cini, dal 10 maggio al 28 luglio a Venezia. Un lungo percorso tra tutti i più grandi cicli dell’artista della materia.
Muffe, catrami, sacchi di juta, plastiche, ferri. Oggetti di scarto, superstiti residuali solitamente destinati alla marginalità. Alberto Burri (1915-1995) compie invece il gesto sovversivo di elevarli ad arte, destinandoli alla tela. Una comunione carnale tra tela e questi oggetti materici, una pittura-non pittura difficile da restituire a parole.
“Le parole non mi sono d’aiuto, quando provo a parlare della mia pittura. Questa è un’irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi altra forma di espressione”
Alberto Burri
BURRI la pittura, irriducibile presenza prende spunto propria da questa condizione di indicibilità dell’opera di Burri e prova a decifrarne il linguaggio grazie ad un percorso cronologico che ne srotola le evoluzioni. Dai primi e rari Catrami (1948) e dalle Muffe (1948), presentati in stretto confronto con gli iconici Sacchi (1949-50), ai Gobbi (1950), per arrivare alle affascinanti Combustioni (1953), i Legni (1955), i Ferri (1958), le contorte Plastiche (1960) e l’evoluzione straordinaria dei Cretti (1970), divenuti uno dei temi di ricerca più iconici di Burri, fino ai grandi Cellotex, realizzati fino a metà degli anni Novanta.
Fin dal principio il gesto di Burri ha il valore di agire in maniera radicale nei confronti sia dello spazio fisico del quadro che di quello ideale. L’artista umbro insinua nella prospettiva geometrica che sostiene l’usuale dinamica rappresentativa uno spazio emergente che gonfia il tessuto bidimensionale della pittura. La materia reale trova posto sul quadro, che anziché ospitare il reale se ne trova direttamente – e fisicamente – contaminato. I materiali di scarto diventano materia artistica, senza un arbitrario significato, ma traboccanti di presenza: non c’è riferimento trascendentale, l’opera si esalta nell’evento della sua mera manifestazione. Una manifestazione ferita, squarciata, ma sempre viva.
Il curatore Bruno Corà dà un’idea della portata dell’arte sovversiva di Burri:
“Non è improprio paragonare l’innovazione linguistica introdotta da Burri con la ‘presentazione’ sistematica della materia reale al posto della mimesi rappresentativa, alla rivoluzione giottesca compiuta nel sostituire ai cieli d’oro della pittura medioevale il celeste che si poteva osservare in natura”
La mostra della Fondazione Giorgio Cini, in collaborazione con la Fondazione Burri e Tornabuoni Art, chiarirà anche gli aspetti più criptici dell’artista capostipite della pittura materica. Nella suggestiva isola di San Giorgio Maggiore a Venezia la materia viene ferita e ricucita, come avviene in ogni quadro di Burri. Possiamo immaginare una stessa dinamica anche per la mostra stessa. Se quella memorabile personale che nel 1983 lanciò la carriera di Burri rappresenta la ferita, BURRI la pittura, irriducibile presenza è la sua sutura.