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Luce, forma dell’infinito. La prima grande retrospettiva di Edmondo Bacci è al Guggenheim di Venezia

Edmondo Bacci, Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953, tempera grassa su tela, 83,1 x 142,9 cm. Museum of Modern Art, New York Edmondo Bacci, Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953, tempera grassa su tela, 83,1 x 142,9 cm. Museum of Modern Art, New York
Edmondo Bacci nello studio, Venezia, 1961. Sul cavalletto, Senza titolo (1957 c.), proseguendo verso destra, Avvenimento #316 (Omaggio a Gagarin) (1958), Avvenimento #328 (1959 c.). Archivio Edmondo Bacci, Venezia
Edmondo Bacci nello studio, Venezia, 1961. Sul cavalletto, Senza titolo (1957 c.), proseguendo verso destra, Avvenimento #316 (Omaggio a Gagarin) (1958), Avvenimento #328 (1959 c.). Archivio Edmondo Bacci, Venezia
Si intitola Edmondo Bacci. L’energia della luce e raccoglie 80 tele in grado di ripercorre il periodo più florido del pittore, quello che va dagli anni ’50 agli anni ’70. La mostra è visitabile alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dall’1 aprile al 18 settembre 2023.

Tra i paradossi che reggono il mondo dell’arte ce n’è uno squisitamente contenutistico: tanto più un’opera vive della sua manifestazione estetica, tanto essa si fonda su solide basi tecniche. Soprattutto in pittura, la leggerezza è una conquista gravosa. I dipinti che più paiono donarsi con semplicità e immediatezza celano spesso, infatti, una ricerca complessa. Un percorso dove svolte minime conducono ad ampie deviazioni. Pensiamo, in particolare, ai lavori privi di figura. Nello spazio artistico astratto non c’è esigenza mimetica, ma sottostare a vincoli di armonia, proporzione, bilanciamento ed espressività pare altrettanto difficile. E molto più misterioso, quasi occulto. Ancora più ardua è la sfida dell’informale, che non solo rinuncia alla figura, ma alla forma stessa. Tutto è in mano al colore e alla materia. E poi c’è Edmondo Bacci, che ha ricercato la leggerezza dell’astrattismo agognando all’esuberanza cromatica dell’informale. Trovandola.

Lo ben racconta la mostra Edmondo Bacci. L’energia della luce, a cura di Chiara Bertola, visitabile alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Non un caso che le sue opere liquide, lucide e inafferrabili come l’acqua, trovino la prima e più esaustiva occasione espositiva proprio in laguna. Sintonia poetica, certo. Ma c’è anche una ragione più pratica e diretta. Peggy Guggenheim, grande mecenate internazionale dell’astrattismo, supportò solo due artisti italiani nel corso della sua vita collezionistica: Tancredi Parmiggiani e, appunto, Edmondo Bacci. A renderlo speciale, come in parte già anticipato, fu la sua capacità di metabolizzare velocemente le possibilità di una nuova astrazione, legando le contemporanee tendenze provenienti da Europa e Stati Uniti con uno stile unico e una visione personale.

Edmondo Bacci, Fabbrica, 1951 c., tempera grassa e carboncino su carta intelata, 28,7 x 41,5 cm. Collezione Montanari, Venezia
Edmondo Bacci, Fabbrica, 1951 c., tempera grassa e carboncino su carta intelata, 28,7 x 41,5 cm. Collezione Montanari, Venezia

Seguendo questo percorso critico, l’esposizione affianca 80 opere fondamentali per comprendere l’evoluzione di una grammatica visiva composta di colore e luce. I dipinti provengono da collezioni private e musei internazionali, tra cui l’Art Museum di Palm Springs e il Museum of Modern Art di New York. Da quest’ultimo, per esempio, arriva in prestito Avvenimento #13 R. Opera del 1953 che l’allora direttore del MoMA, Alfred H. Barr Jr, acquistò da Bacci. Proprio sugli anni ’50 si concentra l’esposizione. Il periodo più lirico della carriera di Bacci, dove ai motivi dello Spazialismo si unisce la forza generativa del colore, la rottura dei piani spaziali e il ritmo circolare della pennellata.

E pensare che, all’inizio di questa fase, non vi era niente di tutto ciò. Tra il 1945 e il 1953, punto di partenza della mostra, Edmondo Bacci è impegnato a realizzare una serie di tele in bianco e nero chiamate Cantieri e Fabbriche. Ispirate agli altiforni dell’area industriale della vicina Marghera, queste tele intessono un intreccio di spesse linee scure, che salgono monumentali e minacciose. Sembrano fabbriche immerse nella nebbia. Siluette filiformi che rimandano alla pittura di Emilio Vedova in Italia e di Franz Kline all’estero. Lo spazio emerge in negativo dietro i segni scuri, movimenti accidentati, conflittuali, che modulano così la temperatura espressiva dell’opera.

Edmondo Bacci, Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953, tempera grassa su tela, 83,1 x 142,9 cm. Museum of Modern Art, New York
Edmondo Bacci, Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953, tempera grassa su tela, 83,1 x 142,9 cm. Museum of Modern Art, New York

Tra il 1952 e il 1953 lo spazio – che nelle Fabbriche non solo rimaneva in bianco e nero, ma anche frontale – subisce un importante mutamento strutturale aprendosi sempre di più verso significative valenze cromatiche. Talmente spinte da sciogliere ogni riferimento spaziale e, per paradosso, ampliare all’infinito la dimensione su cui il colore si distribuisce. Sono le Albe, il cui titolo anticipatorio pare perfetta anticamera agli Avvenimenti, ovvero il nucleo centrale della mostra, nonché il più rappresentativo di Bacci. Gli Avvenimenti rappresentano il nucleo più poetico, creativo e felice del lavoro dell’artista, opere dove lo spazio non è più sorretto da una griglia geometrica ma si genera unicamente dalle relazioni degli eventi di colore. Un colore che diventa spazio assoluto e che abolisce ogni limite tra superficie e volume, tra dimensione e traiettoria; esso diviene pura materia di luce nel suo graduale processo di affrancamento dalla più pesante materia dell’Informale.

Ed eccoci all’aspetto chiave della questione. Il più grande merito di Bacci, ciò che lo distingue ed eleva come artista, è l’aver sintetizzato in modo efficace astrattismo e informale. Nei suoi quadri il colore galleggia come fumo che si solleva in una stanza e gradualmente la riempie, fino a saturarla, fino ad assorbirne i confini. Come fa, negli stessi anni ma con strumenti installativi, il Ganzfeld di James Turrell. Infinito colore, infinito spazio. La concentrazione di materia, presenti in alcuni punti, non appesantisce l’opera, non vuole dargli spessore, ma movimento. Sono esche per l’occhio, inneschi per lo spirito, meccanismi immaginifici. Sono la quota dinamica in un mondo dove regna la sospensione.

Edmondo Bacci, Avvenimento #316. Omaggio a Gagarin, 1958, tempera grassa su tela, 175 x 145 cm. Collezione privata, courtesy Alessandro Rosa
Edmondo Bacci, Avvenimento #316. Omaggio a Gagarin, 1958, tempera grassa su tela, 175 x 145 cm. Collezione privata, courtesy Alessandro Rosa

Non una conquista da poco in un campo artistico dove, come detto, la differenza tra una buona opera e una cattiva opera si gioca su dettagli appena definibili. Eppure percettibili. Come quelle manciate di attimi che dividono il primo dei centometristi dall’ultimo della batteria. Che Bacci fosse un centometrista di livello, intorno al 1956, se n’erano accorti un po’ tutti. Tanto che quell’anno la Seventy-Five Gallery di New York gli dedica un’importante personale, a culmine di una diffusione importante nell’ambiente collezionistico americano. Forse è questo a dargli lo slancio a sperimentare negli anni Sessanta-Settanta soluzioni fantasiose, questa volta prettamente materiche, come i Gessi, le Sagome, i Teatrini.

Due anni più tardi, nel 1958, alla XXIX Biennale di Venezia gli viene dedicata un’intera sala, ricreata ora in parte nella mostra con i più celebri Avvenimenti dell’epoca, tra cui spicca Avvenimento #299, del 1958, proveniente dall’Art Museum di Palm Springs. Ma è dal 1948 che Bacci, regolarmente, partecipa al grande evento lagunare. Del resto Venezia, con la sua cultura ed identità, era indiscutibilmente la sua città, soprattutto in campo artistico. Lo racconta bene l’ultima sala dell’esposizione, dove un Avvenimento di Bacci è affiancato all’olio su tela di Giambattista Tiepolo, Il Giudizio finale (1730-35 c.). Segno che Bacci è stato fortemente influenzato dalle grandi tele del passato, in particolare dal colorismo luministico di Giovanni Bellini, da Giorgione e soprattutto dalla spazialità dei grandi affreschi di Tiepolo. Un finale sorprendente? Sicuramente. Ma, del resto, era stata la premessa iniziale: i dipinti che più paiono donarsi con semplicità e immediatezza celano spesso una ricerca complessa.

© Edmondo Bacci. L’energia della luce, 1 aprile–18 settembre 2023. Collezione Peggy Guggenheim. Photo Matteo De Fina
© Edmondo Bacci. L’energia della luce, 1 aprile–18 settembre 2023. Collezione Peggy Guggenheim. Photo Matteo De Fina

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