Inaugura oggi alla Mole Vanvitelliana, la retrospettiva dedicata all’icona del fotogiornalismo di trincea.
Bello come un divo di Hollywood tanto da far capitolare la divina Ingrid Bergman, con la fedele macchina fotografica appesa al collo e l’aria sprezzante del pericolo, Robert Capa non è ‘solo’ il più grande fotoreporter del XX secolo ma la stessa icona del fotogiornalismo. Il fondatore della celebre agenzia Magnum Photos (insieme a Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandiver) sarà ora al centro della retrospettiva ospitata ad Ancona che racconterà la sua vita avventurosa tra rullini e proiettili, terminata tragicamente in Indocina nel 1954, a causa di una mina anti-uomo. Una fine tragica certo – come può essere la morte di un genio della fotografia a soli quaranta anni – ma che il fotoreporter aveva messo in conto fin dalle prime esperienze nei teatri della guerra di uno dei periodi più bellicosi della storia. Robert Capa infatti non si accontentava di raccontare gli scenari e i protagonisti dei vari conflitti in giro nel mondo, lui ‘entrava’ in trincea limitando al minimo la distanza con il soggetto:
“Se le tue fotografie non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino”. Questo il suo mantra e questa la frase scelta da Magnum Photos, per festeggiare i settant’anni dell’agenzia afferma Denis Curti curatore della mostra che ha ripreso fedelmente l’esposizione originariamente curata da Richard Whelan. «Se la tendenza della guerra – osserva lo stesso Whelan, biografo e studioso di Capa – è quella di disumanizzare, la strategia di Capa fu quella di ri-personalizzare la guerra registrando singoli gesti ed espressioni del viso. Come scrisse il suo amico John Steinbeck, Capa “sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l’orrore di un intero popolo attraverso un bambino».
Del resto le assurdità della guerra Capa non le aveva conosciute solo sul fronte, lui che a soli venti anni aveva dovuto lasciare la terra natale in seguito al proprio coinvolgimento nelle proteste contro il governo di estrema destra alla volta della Germania per poi lasciarla a sua volta nel 1933 dopo l”avvento del nazismo, a causa delle sue origini ebraiche.
Le oltre 100 immagini in bianco e nero della mostra ripercorrono dunque alcuni degli episodi cruciali del Novecento, in un arco temporale che va dal 1936 al 1954. Tra i lavori più importanti di Capa spiccano le immagini dello sbarco delle truppe americane in Normandia nel famoso D-Day, da lui straordinariamente documentato. La foto più famosa in assoluto è anche la più controversa : il celebre scatto del miliziano colpito a morte di cui si è spesso discussa l’autenticità. Il fotografo spiegò durante una trasmissione radiofonica che il’ lavoro sporco’ l’aveva fatto tutto la sua fedele macchina fotografica. Mentre si trovava in trincea in Andalusia con 20 soldati repubblicani, aveva messo l’apparecchio fotografico sopra la sua testa per non essere colpito e aveva cominciato a scattare foto per poi inviare in patria i rullini ancora da sviluppare. Al suo rientro era ormai un fotografo famoso in tutto il mondo.
Le 13 sezioni del percorso espositivo oltre a documentare i cinque grandi conflitti mondiali del XX secolo di cui Capa è stato testimone oculare (il Day, la liberazione di Parigi nel 1944, l’invasione della Germania nel 1945, il viaggio in Unione Sovietica nel 1947 e la fondazione ufficiale dello stato di Israele nel 1948 ) si soffermeranno anche sulle passioni, gli amici e ovviamente, l’amore del fotografo amante del poker e delle belle donne. In particolare la sezione, che chiude la mostra, “Gerda Taro e Robert Capa” attraverso tre scatti, racconta la storia di un grande amore dai tratti romanzeschi. Del resto Gerda Taro è “La ragazza con la Leica” protagonista del romanzo di Helena Janeczek, recente vincitrice del Premio Strega. Una delle prime (per alcuni la prima) fotoreporter donna, morta a 26 anni schiacciata da un carro armato durante la Guerra civile spagnola. Anche lei come Robert, sprezzante del pericolo. Anche lei con uno pseudonimo. Il suo vero nome era Gerta Pohorylle. Proprio lei inventò insieme all’amato e giovanissimo fotografo incontrato a Parigi, lo pseudonimo di Robert Capa: il vero nome dell’artista ugherese era infatti Endre Friedmann. Forse nell’istante della morte, avvenuta sul fronte di guerra per svolgere il proprio lavoro come la sua amata, Capa avrà pensato a lei: si dice che non l’abbia mai dimenticata.
Informazioni:
Robert Capa Retrospective
A cura di Denis Curti
16 febbraio – 2 giugno
Ancona, Mole Vanvitelliana – Sala Vanvitelli – Banchina Giovanni da Chio, 28
Organizzata da Civita Mostre e Musei in collaborazione con Magnum Photos Parigi, Casa dei Tre Oci
Orari: Da martedì a domenica 10.00 – 19.00 La biglietteria chiude un’ora prima. Lunedì chiuso. Apertura straordinaria lunedì 22 aprile 10.00 – 19.00
Biglietti comprensivi di audioguida intero € 11,00,
ridotto € 9,00 – gruppi di minimo 12 persone, giornalisti non accreditati e titolari di apposite convenzioni
ridotto speciale € 4,00 – ragazzi dai 6 ai 18 anni, scuole
gratuito – minori di 6 anni, disabili e accompagnatori, giornalisti accreditati, guide turistiche con patentino, docenti accompagnatori
biglietto open € 12,00 – valido per un ingresso in mostra dal 16 febbraio al 2 giugno 2019
Prevendita € 1,00
Visite guidate info@museieducativi.it
Info e prenotazioni mostra mostre@civita.it mostrarobertcapa.it
*Nella prima foto: Morte di un miliziano lealista, fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre 1936 Copyright: Didascalia © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos