Nel varcare la soglia di Palazzo Valvas0n – Morpurgo a Udine ci si trova impreparati e agghiacciati. “Schedati, perseguitati, sterminati” racconta l’orrore di fronte al significato delle immagini, alle lettere struggenti, alle schede burocratiche, agli sguardi di anime innocenti, e a quelli del tutto sereni dei medici tedeschi assassini, in epoca nazista, stipendiati, servizievoli e ubbidienti alle atroci disposizioni imposte da Adolf Hitler. Fino al 31 marzo 2019.
Lo scenario è questo: a partire dal 1934, 400.000 persone furono sterilizzate contro la loro volontà, e più di 200.000, ricoverate in ospedali e istituti di assistenza, assassinate. E tutto questo per mano e con diretta responsabilità di psichiatri, neurologi, pediatri, infermieri e personale amministrativo. Per molto tempo, dopo il 1945, è stato steso un velo di silenzio su questi crimini, anche da parte delle famiglie delle vittime.
Grazie alla DGPPN, La Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica, in collaborazione con la Fondazione Memoriale per gli Ebrei Assassinati d’Europa e la Fondazione Topografia del Terrore di Berlino, la mostra espone le immagini e i documenti che riguardano l’eliminazione dei malati mentali e dei disabili, in nome della purezza della razza e dell’integrità sociale del Terzo Reich. Comprese le lettere di condoglianze – tanto più ambigue quanto più spaventose – scritte dalle strutture ospedaliere che li ospitavano ai famigliari.
Ogni anno il Giorno della Memoria ha il compito di non lasciare cadere nell’oblio le nefandezze del Nazismo, ma poco si dice di questo massacro. E ancora meno si parla del fatto che nell’Italia Fascista, in obbedienza alle discriminazioni legiferate nel Manifesto della Razza del 1938, e con la compiacente collaborazione di non pochi medici e operatori sanitari, gli ebrei ricoverati in manicomio furono separati dagli altri pazienti e quindi, in seguito, consegnati ai Nazisti e alla morte nelle camere a gas.
Dobbiamo essere riconoscenti a Annelore Homberg (Presidente Netforpp Europa) e a Frank Schneider (Direttore della Clinica di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica dell’Università di Aquisgrana, Past President DGPPN) per aver alzato il coperchio sui crimini perpetrati da una pseudoscienza che, in nome la purezza del sangue ariano, sterilizzava o uccideva i portatori di tare geneticamente trasmettibili. Meglio tardi che mai, dopo più di settant’anni, solo oggi la documentazione storica di quegli eventi è portata a conoscenza del pubblico, ricordando anche che le sterilizzazioni forzate dei malati mentali proseguirono per decenni anche nel dopoguerra.
Fatto doloroso e inquietante è che, dopo la fine del conflitto, i sopravvissuti e i loro famigliari hanno ricevuto scarso sostegno in Germania. Per loro, solo negli anni ’80 è iniziato il compianto e la commemorazione pubblica. La mostra documenta in modo ineccepibile che i medici e gli infermieri complici, in modo diretto o indiretto, dello sterminio, hanno in tutta serenità continuato a lavorare negli ospedali psichiatrici. L’omertà professionale ha fatto sì che molti ricercatori in ambito genetico, pur avendo collaborato attivamente col Nazismo, abbiano continuato a fare carriera. Non erano forse professionisti incolpevoli che avevano solo eseguito gli ordini ricevuti?
Dovendo fare la conta dei medici processati a Norimberga nel 1947, si viene a sapere che solo due furono processati e condannati a morte. Ma nessuno è stato mai perseguito per la collaborazione alle sterilizzazioni forzate. A rendere ancora più macabro questo scenario è il fatto che una quarantina di medici in ambito psichiatrico e neurologico (c’erano anche professori universitari) hanno collaborato spontaneamente in qualità di periti. La valutazione e la selezione dei pazienti da mandare a morte era fonte di un reddito aggiuntivo alla loro regolare professione, ed erano remunerati in base al numero di casi presi in esame.
Lungo il percorso espositivo, tra le foto delle vittime e le schede di valutazione è consigliabile soffermarsi sulla ritrattistica dei periti medici placidamente seduti su una panchina in mezzo al verde. Appaiono sorridenti e sereni insieme alle mogli, mentre si riposano soddisfatti dopo aver eseguito il “loro dovere”, che qui vale la pena di descrivere per sommi capi: si trattava, e ne appare una copia in mostra, di una scheda con la diagnosi del paziente e la durata del ricovero. Annotava se il ricoverato riceveva visite regolari e veniva indicata la sua “razza”. Per “correttezza” veniva inviato ad altri tre medici e a un supervisore. Nulla era lasciato al caso, veniva analizzata la capacità di lavorare del paziente, come criterio basilare per la sentenza finale. Un segno “+” in rosso, in fondo alla scheda, decretava l’eliminazione.
Tra i malati sterilizzati a forza c’era anche un artista. Wilhelm Werner era nato nel 1898 e morì nel 1940. Era stato ricoverato a dieci anni, in quanto sordo, nell’Istituto Cattolico per ritardati mentali, dove imparò a leggere, scrivere e disegnare. Fu sottoposto a sterilizzazione forzata tra il 1934 e il 1938. Questa condanna medica è stata documentata da Werner in 44 disegni. Si tratta della cronaca visiva, non certo visionaria, della sua quotidianità. Dettagliatamente illustra i mezzi tecnici e le procedure della sterilizzazione. Il corpus dei disegni è riunito in un quaderno. Conservato da un impiegato dell’ospedale è stato consegnato alla Collezione Prinzhorn che raccoglie opere di pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici.
Annelore Homberg in apertura del catalogo assai esaustivo dichiara che forse questa mostra può apparire troppo “forte”, e in effetti lo è. Ma è anche un evento che celebra la vita, e l’arte del povero Werner è vita. Anche nel momento in cui testimonia il lato oscuro, l’inferno, l’impensabile orrore che può albergare nell’animo umano.
Informazioni utili
Schedati, perseguitati, sterminati
Palazzo Valvason – Morpurgo
Dal 22 febbraio al 31 marzo 2019
Giovedì, venerdì dalle 16.00 alle 19.00
Sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 19.00