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Dalla Canestra di Caravaggio al Ciclo di Orfeo completo. La favola della natura in mostra a Milano

Caravaggio, Canestra di frutta, 1595 ca, olio su tela. Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca, Milano | Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio
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Eccentrica, singolare, capricciosa. Come definire la mostra Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza, a Palazzo Reale dal 13 marzo al 14 luglio 2019, spetta direttamente al pubblico. La provocazione, o concessione, è avanzata dallo storico dell’arte Giovanni Agosti che, insieme a Jacopo Stoppa, ne è curatore.

Varie ragioni hanno portato all’esposizione di una singolare, questo sicuramente, quanto meravigliosa ricostruzione di uno dei più ricercati complessi figurativi del Seicento in Italia, il Ciclo di Orfeo, per l’occasione allestito nella Sala delle Cariatidi. La realizzazione risale agli anni settanta del Seicento e venne commissionato per essere ospitato nelle sale di quello che una volta fu Palazzo Visconti, poi Lunati e infine Verri, in via Montenapoleone a Milano. Nel 1877, però, il palazzo venne venduto da Carolina, l’ultima dei Verri, e le tele furono smontate per ricomparire poi a inizio Novecento in una sala di Palazzo Sormani, oggi Sala del Grechetto. Tuttavia l’opera di riallestimento di allora, condotta da Achille Majnoni d’Intignano, modificò drasticamente l’originale sistemazione, egli infatti cambiò l’ordine narrativo dei pannelli e li inserì in un vano molto più piccolo rispetto a quello a cui erano stati destinati. In seguito il ciclo scampò ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale grazie all’allontanamento preventivo delle opere dalla sede, mentre Palazzo Sormani ne rimase drammaticamente colpito. Sarà poi Arrigo Arrighetti, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, una volta che il Comune decidette di far rientrare le tele a Palazzo Sormani, a ricreare l’allestimento, apportando nuove correzioni.

Pittore olandese, Pandolfo Reschi, Livio Mehus, Ciclo di Orfeo (dettaglio), 1675-1680 ca. Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, Sala del Grechetto e Sala dei Putti) | Comune di Milano

La mostra nasce dunque dalla volontà di riportare allo splendore originario le 23 tele del ciclo raffiguranti più di 200 varietà di animali, dai comuni agli esotici, fino ai fantastici, tutti rappresentati a grandezza naturale insieme a Orfeo incantatore e un piccolo Bacco con due satiri, uniche presenze umane. Il fiorentino Francesco Bonazzini grazie al suo diario, 1696 circa, offre la possibilità di risalire all’identità degli artisti che vi lavorarono: qui scrive sulla vita di un pittore di Danzica, Pandolfo Reschi (1640-1696), specialista di paesaggi e battaglie, il cui nome si collega a quello di Antonio Giusti, sempre pittore specializzato in fiori e animali che, sul finire del secolo, lo propose al milanese Alessandro Visconti, capocaccia del granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici, per portare a termine la decorazione del palazzo ereditato in via Montenapoleone, lasciata incompiuta da un tale “giovane olandese”. A Reschi si deve la maggior parte del lavoro, mentre in particolare per le figure mitologiche si fa riferimento al belga Livio Mehus (1627-1691), anche lui al servizio della corte medicea. Nella seconda metà del Settecento il palazzo diventa di proprietà dei Verri e uno di questi, Carlo, abate e pittore dilettante, intervenì sul ciclo di tele in maniera disastrosa, mentre negli stessi anni Giuseppe Moja realizza il lambris e il resto dei motivi decorativi. Tuttavia il Ciclo di Orfeo negli anni è passato in riferimento all’artista genovese Giovanni Battista Castiglione (1609-1664), detto il Grechetto, famosissimo per le sue scene di animali e piante.

Gioachino Banfi, Sala del Palazzo Verri a Milano, 1870. GAM-Milano (in deposito a Palazzo Sormani, Sala dei Putti) | Mauro Ranzani

Dopo studi e ricerche protratti per circa un biennio, finalmente il complesso torna al suo aspetto primario grazie anche alle scenografie di Margherita Palli, l’illuminazione studiata ad hoc di Pasquale Mari e le pitture illusionistiche realizzate da Rinaldo Rinaldi per ricostruire il più fedelmente possibile gli spazi dell’antico palazzo. In seconda battuta i lavori di ripristino hanno ispirato un ulteriore approfondimento sul tema della figurazione animale e naturale e i conseguenti dettami iconografici. L’esposizione, accompagnata da contenuti multimediali e videoproiezioni, si apre con un doppio confronto che fa da prologo all’intera narrazione. Il primo termine è una pagina dell’Historia plantarum, enciclopedia medica di fine ‘300, il cui testo deriva in gran parte dai repertori medievali dei Tacuina sanitatis che, a loro volta, fanno riferimento al trattato di un medico di Baghdad, Ibn Butan, dell’XI secolo. Il codice, miniato da artisti lombardi appartenenti alla cerchia di Giovannino de’ Grassi -pittore specializzato nella figurazione  degli animali e coinvolto nella progettazione del Duomo di Milano-, si apre su una pagina in cui vengono trattate le qualità benefiche di alcune parti del gatto, come le sue secrezioni, lo sterco e i testicoli. I precetti sono accompagnati da un’illustrazione raffigurante l’animale che si accinge a mangiare del formaggio e dall’analisi della rappresentazione risulta evidente che il disegno derivi dalla visione di un gatto morto, più facile da mettere in posa. Il termine di paragone è offerto in seconda battuta da una pagina del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci (1452-1519) dove, nell’ambito di uno studio delle equivalenze geometriche di alcune superfici, si sofferma sulle pose contorte di un gatto intento a lavarsi. La pagina leonardesca fa risaltare per contrasto l’artificio dell’animale miniato nell’Historia plantarum, si tratta infatti di un’adesione più al verosimile che alla realtà concreta delle pose, dei movimenti e delle torsioni del soggetto, come invece appassionatamente registra il genio di Vinci.

Bottega di Giovannino de’ Grassi, Gatto arraffa una fetta di cacio, 1395-1400 ca. In Historia Plantarum, Biblioteca Casanatense, Ms. 459, f. 118v, Roma

Il secondo dialogo vede invece due esempi precocissimi di natura morta, entrambi realizzati sul finire del 1500, che inaugurano l’autonomia del genere: il Piatto metallico con pesche di Giovanni Ambrogio Figino e la Canestra di frutta di Caravaggio. Nonostante lo scarto che separa le due rappresentazioni sia solo di un paio d’anni, 1592-1593 il primo e 1595 il secondo, la resa con cui viene trattato il medesimo soggetto si differisce anche qui per un’adesione più o meno fedele al reale. Senza dubbio il Figino è capace di rendere l’effetto tattile della superficie vellutata delle sette pesche ma eccede in un’accademismo ostentato nel ricollegarsi alla tradizione leonardesca, mentre per quanto riguarda il Merisi non è da escludere, come notano gli storici dell’arte Agosti e Stoppa, che in principio per la sua canestra abbia pensato a un trompe-l’oeil di vari frutti prossimi a marcire.

Giovanni Ambrogio Figino, Piatto metallico con pesche e foglie di vite, 1592-93 ca. Collezione privata

L’excursus offerto dal prologo permette di vagliare una specifica storia della figurazione animale e inanimata in un arco di tempo che va dalla fine del XIV secolo al 1600, anno in cui venne commissionato il Ciclo di Orfeo. Raramente si ricorreva a modelli diretti, era di più immediato utilizzo rifarsi a catene iconografiche derivate da taccuini o incisioni, schemi che si tramandavano per decenni oltrepassando cambiamenti di stile e rinnovamenti di gusto, come accade, per esempio, in alcuni dipinti rinascimentali dove la rappresentazione degli animali è ricavata direttamente da bestiari tardogotici. Come testimonia e approfondisce un filmato presente in mostra, questa tendenza non apparteneva solo a contesti di seconda categoria ma coinvolgeva anche i grandi pittori della natura, tra cui Giovanni Bellini, Giorgione e Tiziano. Per quanto riguarda il complesso figurativo di Palazzo Visconti, in particolare per la rappresentazione di animali esotici come i pinguini africani, è evidente e diretto il richiamo a quelli presenti in un dipinto di mezzo secolo prima di Jan Brueghel, data la difficoltà per i pittori italiani di vederli dal vivo.

Pittore olandese, Pandolfo Reschi, Livio Mehus, Ciclo di Orfeo (dettaglio), 1675-1680 ca. Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, Sala del Grechetto e Sala dei Putti) | Comune di Milano

Esternamente alla sala adibita ad accogliere le 23 tele sono esposti i documenti e i dipinti, per mezzo dei quali è stato possibile condurre a buon fine l’opera di riallestimento, provenienti da varie istituzioni milanesi, come il Museo Poldi Pezzoli, la Galleria d’Arte Moderna, la Pinacoteca Ambrosiana, l’Arcivescovado, e collezioni private; mentre un’ambiente speciale, grazie alla collaborazione del Museo di Storia Naturale, l’Acquario Civico di Milano e il Muse di Trento, ospita più di 160 esemplari tra mammiferi, uccelli, pesci, rettili e invertebrati che evocano e riportano in vita gli animali incantati da Orfeo.

Pittore olandese, Pandolfo Reschi, Livio Mehus, Ciclo di Orfeo (dettaglio), 1675-1680 ca. Pinacoteca del Castello Sforzesco (in deposito a Palazzo Sormani, Sala del Grechetto e Sala dei Putti) | Comune di Milano

Informazioni utili

Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza
dal 13 marzo al 14 luglio 2019

Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi
Piazza del Duomo 12,
20122, Milano

Sito web ufficiale

[*Caravaggio, Canestra di frutta, 1595 ca, olio su tela. Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca, Milano | Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Mondadori Portfolio]

Da Leonardo a Caravaggio, fino al Ciclo di Orfeo. La favola della natura in mostra a Palazzo Reale, Milano

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