Jean Dubuffet e Venezia è la mostra che Palazzo Franchetti dedica all’ideatore dell’Art Brut dal 10 maggio al 20 ottobre. Accompagnata dalla citazione a due precedenti veneziani dell’artista, l’esposizione ne racconta l’evoluzione artistica in tre sezioni tematiche.
«L’attenzione uccide quel che tocca. E’ sbagliato credere che guardando attentamente le cose si possa conoscerle meglio. Perché lo sguardo fila, come il baco da seta, e in un attimo s’avvolge in un bozzolo opaco che toglie ogni vista. Ecco perché i pittori che spalancano gli occhi davanti al modello non riescono ad afferrarne nessuna parte»
Jean Dubuffet, Percepire
Da queste poche righe possiamo intuire come Jean Dubuffet non possa avere nulla a che fare con un’estetica classica. In primo luogo deduciamo che secondo l’artista francese guardare non significa conoscere. L’osservazione reiterata, attenta, analizzante le parti e il complesso non è efficace, anzi è addirittura deleteria. Perché mano a mano che le si osserva, le cose del mondo si coprono della patina della nostra soggettività e si fanno opache, resistenti e immodificabili ad ogni nuovo sguardo. Guardando il mondo ne compromettiamo la capacità di rivelarsi per quello che è, l’occhio non scova la conoscenza ma la fa fuggire.
Ne deriva una seconda considerazione: l’arte, in quanto indagatrice del vero, non può allora muoversi, come ha sempre fatto, attraverso l’uso dell’occhio. Dubuffet profetizza allora un’arte come meccanismo elusivo dell’intelletto, sciolto dal controllo della ragione e del linguaggio, in fuga dalla cultura e dall’ideologia. L’arte è un movimento istintuale, libero, si condensa in un gesto così spontaneo da scambiarlo per inconsapevole. Come si sviluppa un’arte con queste premesse?
In modo complesso, per un risultato immediato. Modalità e finalità che la mostra Jean Dubuffet e Venezia, a Palazzo Franchetti dal 10 maggio al 20 ottobre, prova ad esprimere, recuperando la memoria di due grandi esposizione veneziane dell’artista (Palazzo Grassi nel 1964 e al padiglione francese della Biennale nel 1984) attualizzandone l’insegnamento in un’odierna retrospettiva sull’inventore dell’Art Brut.
La materia prima e il gesto poi le due grandi linee tematiche che i curatori Sophie Webel e Frédéric Jaeger solcano per definire l’esposizione, che culmina nel periodo più colorato e brillante di Dubuffet. Tre grandi cicli per le tre grandi fasi creative dell’artista: Célébration du sol raccoglie il risultato dell’annessione alla tela di foglie, terra, minerali, dell’ingresso da protagonista della materia nelle dinamiche dell’arte e del pensiero artistico; L’Hourloupe è la sezione della svolta segnica, densa e impazzita, che caratterizza il momento più ispirato di un Dubuffet alla ricerca di un universo conoscitivo alternativo; dopo il caos del tratto incontrollato, l’opera dell’artista si distende in Mires, dove vengono esposti dipinti dai colori vibranti e dalle pennellate così fluide da confondere i limiti fisici del quadro.
Nel continuo rimando alle esposizioni di cui è figlia, Jean Dubuffet e Venezia risponde all’esigenza di dare corpo, ulteriore testimonianza visiva alle idee dell’Art Brut e del suo ideatore. Se esiste veramente un’arte sciolta da convenzioni e debiti culturali, da storia e condizionamenti, allora l’autentico istinto, anche infantile, di Dubuffet ne è principale portavoce.