
Sciogliersi come cera nera di fronte al Medardo di Russo, o Sciogliersi come neve al sole davanti al bianco Boetti di Robilant/Voena? Comunque e ovunque lo si voglia fare, quest’anno è d’obbligo fare un giro tra le 186 gallerie della 24° edizione di MiArt, consapevoli della finalmente maturità della fiera di moderno e contemporaneo di Milano (5-7 aprile 2019), diretta da Alessandro Rabottini. Unanimemente riconosciuta come la migliore edizione milanese e nazionale, non ha l’eleganza di Artissima, ma ha qualità e sostanza da vendere. Una fiera in perpetua crescita sospinta da una proposta qualitativa costante e omogenea, dagli Emergent agli Object. Ottime le sezioni (7), uno storico italiano che si consolida senza picchi assoluti (a parte Medardo, Vedova e poco altro) e manca di seri progetti curatoriali e recita molto spesso stand supermercato saturi della qualunque (con eccezioni, tra Decades e Masters, di stand come Galleria Dello Scudo, Russo, Gomiero, Cardi, Frittelli, Osart, Montrasio, Lampertico). Contemporaneo sugli scudi che sull’asse centrale (corridoio C) riverbera un’atmosfera da fiera internazionale, una longitudinale che da Trisorio e Lelong si scioglie nella sobria e raffinata sezione Generations (su invito), dai portali d’accesso color blu e (soprattutto) dai dialoghi intelligenti tra gallerie e artisti di generazioni diverse (segnaliamo Patrizio di Massimo/Horst P. Horst; Birgit Jurgenssen/Tina Lechner; Walead Beshty/Morgan Fischer). Alle multinazionali dalle pregiate proposte come Ropac, Hauser/Wirth, Goodman, Gladstone, De Carlo, Continua e simili, fanno eco ricercate realtà di casa come Raffaella Cortese, Z2O di Sara Zanin, Fumagalli, P420, Monitor, SpazioA. Sulla scia di una primavera decennale costante, Milano è finalmente in grado di offrire anche sul contemporaneo un panorama da città internazionale, tra una matura MiArt e un’Art Week in giro per la città che si rispetti.
Di seguito le migliori “cose” viste in fiera, tra proposte, stand, opere e sezioni.
Sciogliersi come la nera cera di Medardo Rosso, Ecce Puer, 1918-20, da Galleria Russo (menzione per tutto lo stand, tra uno spaccato di lavori di Cambellotti e lavori di Wildt, Modigliani e appunto Medardo)

Galleria Dello Scudo tra Spagnulo e Vedova, con l’ultimo “rosso” ancora sul mercato dominante e pulsante a centro stand.


La poesia dell’architettura di Carlo Scarpa nella Decades di Gomiero, un lavoro filologico esemplare per una preziosa pubblicazione, “Pensieri di Carlo Scarpa”.


Melotti bianco rosa smaltato da Matteo Lampertico (con Tancredi, Santomaso e parentesi di Chighine da non mancare)


Frittelli in toto, da Ketty La Rocca e Libera Mazzoleni alle tessere di vetro frantumate e intagliate di Francolino e agli storici strappi di Rotella.


Asse centrale aka Corridoio C, dagli Hockney di Lelong ai Paul McCarthy di Hauser/Wirth



Generations – tra le combo: Patrizio di Massimo – T293/Horst P. Horst – Paci Contemporary; Birgit Jurgenssen/Tina Lechner (Hubert Winter); Walead Beshty – Thomas Dane/Morgan Fischer – Bortolami.



Le 3 migliori gallerie italiane di contemporaneo: Z2O di Sara Zanin, P420, Raffaella Cortese.



Mi sento cinese del 1964 o uno schermo di smalto del 1963? Gli Schifano di Tega (e non solo, stand con Uncini, Christo, Novelli, Melotti…)

Sciogliersi come neve al sole di Boetti, 1988 (e lo stand tutto di Robilant/Voena con parentesi di ceramica di Fontana)
