L’artista Massimo Mazzone riflette su una società artistica che solo recentemente è riuscita a metabolizzare la parità di genere. Prendendo spunto dal libro nato nell’orbita romana di Metropoliz
Pensare a una cosa come l’arte in termini di sesso e di genere sessuale potrebbe a prima vista suonare strano. Già Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che “a male artist is a contradiction in therms”. Tuttavia molte migliaia di anni di patriarcato e repressione rappresentano per ciascun essere umano un ostacolo da superare sul cammino dell’emancipazione, dunque vale sempre la pena di tentare qualsiasi strada per uscire da una impasse catastrofica. Molti segnali ci dicono che come specie non abbiamo futuro, che il pianeta è in rovina, che la società è in frantumi e che si preparano al passo dell’oca tempi ancora più bui di quelli attuali. Eppure sentiamo, sappiamo, che se un futuro ci si farà incontro non potrà che essere un futuro emancipato e quindi, necessariamente, un futuro femminista.
Un autore come Paul Preciado, che rimprovera la parità di genere a chi la chiede, proponendo un più profondo superamento delle identità di genere, ha spesso sottolineato – e a ragione – come perfino autori di culto, come Foucault, non abbiano in fondo speso una pagina sulla questione femminile e sulle lotte femministe, e la cosa non stupisce, perché in effetti, tranne che nel mondo libertario, dove il tema è superato all’origine in quanto disciolto nell’orizzonte di una libertà infinità per ciascun essere umano, qualsiasi altro ambito culturale ha risentito dell’antica e squallida tradizione monoteista che vede sempre e comunque la donna in funzione dell’uomo e la gerarchia e la sottomissione della donna come una specie di “condizione naturale”.
Quindi la supposta inferiorità della donna è stata data per scontata e rimossa, semplicemente scordata. Ci son voluti secoli e specialmente l’ultimo appena trascorso per iniziare a scalfire e solo a macchia di leopardo, la corazza assassina del patriarcato. L’arte, come determinazione storica, come ciascuna delle attività umane, per speciale che sia, ha risentito di questo clima monosessuale: artiste donne sono state infatti una vera rarità nella storia dell’arte, e questo fino al XX secolo, eppure è sembrato un fatto normale a qualsiasi filosofo e a qualsiasi osservatore.
Oggi una nuova coscienza su questo scandalo permette di iniziare a ragionare su questa condizione che altro non è che lo specchio di tutte le altre coercizioni che la nostra cultura ha prodotto. Il libro di cui voglio parlare ha il merito di condurre due differenti ricerche, ricerche che sono pratiche e teoriche allo stesso momento, costruite da una autoconvocazione realizzata in quel crogiolo culturale che è il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, a partire da una idea di Veronica Montanino e Anna Maria Panzera. Arte [eventualmente] femminile è il risultato di molte voci che hanno sentito la necessità di esprimersi su questa eventualità, dispiegando un panorama articolato e polifonico, mai un coro. Ciascuna delle protagoniste di questa bella pubblicazione ha esposto il grado di complessità che la questione pone sul tavolo, e parole quali resistenza, rivolta, rivoluzione, cura, responsabilità, sono ricorrenti. Quel che emerge dal libro è uno spaccato interessante che vede molte decine di donne (artiste e storiche dell’arte) prendere la parola e tentare di interrogarci tutti, attraverso una messa in discussione del “femminile” in arte che non restituisce nessuna risposta unitaria, e anzi, fortunatamente, moltiplica gli interrogativi.
Massimo Mazzone