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Georg Baselitz: lo spirito dell’antiaccademia in mostra in Accademia, a Venezia

Georg Baselitz, Camera da letto, 1975 Georg Baselitz, Camera da letto, 1975
Georg Baselitz, Camera da letto, 1975
Georg Baselitz, Camera da letto, 1975

Esponente del Neoespressionismo tedesco con un debole per il Cinquecento italiano, Baselitz è il primo artista vivente a esporre all’Accademia di Venezia. Dipinti, disegni, stampe e sculture, alcune dei quali inediti, ripercorrono sei decenni d’intensa carriera. A cura di Kosme de Barañano, fino all’8 settembre 2019.

Venezia. Con quella drammaticità espressiva tipica dell’individuo che lotta per la libertà e nuovi orizzonti, la sua arte è in costante equilibrio tra forma, pennellata e parola, potendo vantare suggestive atmosfere drammaturgiche e letterarie, vicine a Camus, Artaud, Vian, Malaparte, e Pasolini. Quelle campiture di colore che hanno il respiro di sipari teatrali, quelle forme plastiche che racchiudono un’anima primitiva, quelle tele monumentali che richiamano gli affreschi rinascimentali. Georg Baselitz (1938) è artista di ampio respiro e profondità intellettuale, che sin dagli anni giovanili della formazione accademica a Berlino, manifestò caratteri d’indipendenza, venendo espulso nel 1956 dalla Hochschule für Bildende und Angewandte Kunst di Berlino, per eterodossia politica, ovvero per il suo dissenso verso le politiche repressive della DDR. Riesce comunque a terminare gli studi presso la Hochschule der Künste, a Berlino Ovest, ma fondamentale per lo sviluppo della sua carriera fu il soggiorno di dieci mesi a Firenze, grazie a una borsa di studio offertagli dall’Accademia di Villa Massimo. Qui può approfondire e ammirare di persona quanto studiato sui libri in Germania, e Pontormo, Rosso Fiorentino, divengono i suoi maestri di riferimento, affiancati dall’interesse per l’Informale, il Neoespressionismo e le teorie cromatiche di Kandinsky. L’indagine di Baselitz non è però soltanto formale, ma si arricchisce di profonde considerazioni esistenziali, che conferiscono appunto statura drammaturgica  e filosofica alle sue opere.

Georg Baselitz, Grossa testa, 1966. TP
Georg Baselitz, Grossa testa, 1966

Baselitz artista inappartenente, solitario e portato alla riflessione, la cui pittura concreta è più simile a una pagina scritta che a un velo di colori. La mostra ne ripercorre le significative fasi della carriera, a partire da quel Manifesto Pandemonico, redatto in collaborazione con Eugen Schönebeck,dove affermava la necessità, in arte, del realismo critico; l’oggettività assoluta non è pensabile, perché l’artista che riproducesse fedelmente la realtà, non sarebbe tale. Documenta questa fase un corpus di disegni dal forte sapore espressionista, figure semisurreali che ricordano certi personaggi di Artaud, di cui possiedono la tragica concezione dell’esistenza.

E nei cruciali mesi trascorsi in Italia, Baselitz fa suoi i tormenti di coscienza di Pontormo, Parmigianino e Rosso, li traspone nella controversa Europa del secondo dopoguerra, divisa fra la nascente società dei consumi e le tensioni con l’Unione Sovietica. Ne studia gli impianti compositivi di filosofiche macchine teatrali, vi si ispira per dare forma alla coscienza europea degli anni Cinquanta e Sessanta. Per Baselitz, il Rinascimento non è soltanto un importante capitolo di storia dell’arte, ma anche un momento di riflessione sul ruolo dell’individuo sulla Terra; e nel secondo dopoguerra si imponeva di nuovo una riflessione del genere.

Georg Baselitz, Idolo, 1964
Georg Baselitz, Idolo, 1964

Che ebbe il suo secondo capitolo in una serie di opere che ancora una volta devono la loro genesi a modelli ripresi dall’arte italiana: ispirandosi alle allegorie scultoree secentesche di Francesco Pianta, Baselitz realizzò fra il 1965 e il 1966, un grandioso ciclo pittorico dal beffardo titolo de Gli Eroi, attraverso cui racconta un individuo che non è eroe nel senso classico del termine, ma lo è nel senso moderno del suo significato; è colui che emerge dalle ceneri della tragedia causata dalla società totalitaria, e guardandosi intorno prova disgusto per il sangue, per l’aberrazione, la violenza, e un po’ anche per se stesso, che queste cose le ha, se non create, comunque vissute e tacitamente approvate nel loro inizio. È un gladiatore antico che va a morire per una causa sbagliata, ma sa morire con dignità. E Baselitz, conscio di portare un peso ereditato da altri ma non evitabile, diviene egli stesso un eroe foscoliano “bello di fama e di sventura”, che suo malgrado si ritrova prigioniero di dinamiche più grandi di lui, ma non per questo è loro schiavo. In fondo, la sua missione è quella di cercare una via d’uscita, anche nella consapevolezza di non riuscirvi. Un doloroso mélange di potenza, ambiguità, speranza, disperazione, rabbia, ironia, capace di disorientare l’intellettuale d’accademia.

E Baselitz scultore, di nuovo, è architetto del dolore, burattinaio-figurinista di volti e corpi ghignanti, beffardamente contorti e legnosi, un po’ come quelli di Schiele e Kokoschka; volti e corpi che sono altrettanti feticci e fragili idoli, alla stregua dei nudi realizzati a partire dagli anni Settanta, mentre gli ultimi sono stati dipinti appositamente per la mostra di Venezia. Il colore domina questi corpi di quando in quando modiglianeschi e dal taglio scultoreo, ma dall’evidente fragilità fisica e morale: specchi fedeli dell’individuo contemporaneo.

Georg Baselitz, Gruppo BDM, 2012
Georg Baselitz, Gruppo BDM, 2012

Non stupisce che un artista del genere sia sempre apparso scomodo al sistema dell’arte ufficiale, ma soprattutto all’ambiente politico; la Germania degli anni Cinquanta, così come il resto dell’Europa, non aveva bisogno di quel genere di “eroi”; dopo Norimberga e fra le macerie della guerra, certe revisioni storiche si preferiva lasciarle in disparte, e concentrarsi sulla ricostruzione sostenuta dal Piano Marshall; Baselitz è però uno dei pochi individui veramente liberi nel Vecchio Continente assediato dalla società di massa di stampo americano. Logiche cui in parte, purtroppo rispondeva e risponde anche l’arte, ed ecco che dal cilindro di questo artista-drammaturgo escono i ritratti capovolti, che egli stesso considera “dimostrazioni dell’assurdo, di un’affermazione non dimostrabile scientificamente”. Sono quindi veri e falsi allo stesso tempo, provocazioni ironiche sul disorientamento causato da falsi intellettualismi spacciati per capolavori.

Georg Baselitz, L'uomo nuovo, 1965
Georg Baselitz, L’uomo nuovo, 1965

Come Hans Hartung, Baselitz è artista disilluso, tenacemente libero, che non cede alle lusinghe degli estetismi patinati e alle falsità del sistema.

 

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