Regista, autore tv, scrittore, giornalista, critico cinematografico, documentarista, Gregoretti osservava l’Italia con piglio corrosivo, urticante, caustico
“L’Italia non ama la cultura. Siamo i cittadini più ignoranti dell’Occidente. Enfatizziamo in modo trombonesco la nozione di cultura e di culturale, vantando il settanta per cento del patrimonio artistico mondiale. Ma si tratta di un innamoramento finto e ridicolo. Quanti sanno distinguere Borromini da Berlusconi?”. Corrosivo, urticante, caustico: questo – tratto da un’intervista del 2015 – è solo un esempio dello stile di Ugo Gregoretti, morto nella sua casa di Roma dove era nato il 28 settembre 1930. Non lo abbiamo qualificato, visto che è impresa ardua dire cosa facesse: regista, autore tv, scrittore, giornalista, critico cinematografico, documentarista. Ma soprattutto era un acuto e ironico osservatore della società italiana, che poi descriveva e documentava con i diversi mezzi ai quali si dedicava.
Assunto alla Rai nel 1954, esordì come autore con Controfagotto (1961), a cui seguì il suo progetto forse più celebre, Il circolo Pickwick (1967). Diresse parodie come Romanzo popolare italiano (1975) e Uova fatali (1977), si occupò di denuncia con Sottotraccia (1991), per il cinema girò film d’inchiesta come I nuovi angeli (1962), o di fantascienza come Omicron (1963). Nel 1960 vinse, con un documentario sulla ”Sicilia del Gattopardo”, il Prix Italia. Negli anni ‘80 si dedicò alla carriera teatrale, che lo portò ad allestire oltre 50 spettacoli, e a dirigere dal 1985 al 1989 il teatro Stabile di Torino. “Per un lungo periodo ho considerato la notorietà conquistata attraverso il piccolo schermo un fatto volgare”, rivelava nel 2012. “Volevo persino fare in modo di scomparire perché si dimenticasse il mio nome. Invece, poi, mi sono accorto con soddisfazione che vengo considerato un benefattore”.