Gli inimitabili Amarcord di di Giancarlo Politi
Indubbiamente Art Basel resta la più importante fiera d’arte al mondo. La prima e l’unica, direi.
Anche se Frieze ha avuto la sua incidenza così come la Fiac o anche Westbund Shanghai e Art Basel Hong Kong e ADAA a New York. Ma Art Basel le riassume tutte e con la collaterale Liste, ti propone anche il nuovo che non ti aspetti.
E poi con il gigantismo di Unlimited (che io detesto perché si tratta della vera aberrazione dell’arte, una elefantiasi esibizionista, di cui l’arte non avrebbe bisogno) Art Basel mostra la propria autorità per dichiarare di essere la più forte, il vero referente dell’arte mondiale. Io frequento Art Basel dalla prima edizione, 1970, sorta dall’idea vincente del grande gallerista e mercante Ernst Beyeler e sua moglie Hilky, dalla gallerista Trudl Bruckner e dal collezionista Balz Hilt. Alla prima edizione furono invitate 90 gallerie con una partecipazione di 16 mila visitatori, che all’epoca sembrò una folla oceanica. In realtà nella prima edizione, pur di ottima qualità per l’epoca, parteciparono amici, colleghi e clienti di Ernst Beyeler, a cui nessuno osava dire no.
Inoltre i prezzi di partecipazione di quelle prime edizioni erano risibili (simili a quelli di Bologna più tardi). Da sottolineare come curiosità invece che la primissima fiera d’arte al mondo ebbe luogo a Firenze, a Palazzo Strozzi nel 1964. Ma come tutte le cose geniali in Italia e soprattutto a Firenze, finiscono a tarallucci e vino E la prima fiera d’arte al mondo dopo due edizioni, per gelosie e litigi interni, chiuse ingloriosamente i battenti.
Ma Art Basel è sempre uno spettacolo straordinario. Esagerazioni, esibizionismi, velleità infantili, ma anche grande classe, dispendio di intelligenze e di danaro. Perché ad Art Basel c’è tutto e di più. Organizzata come un orologio svizzero, propone le migliori gallerie del mondo, dunque i migliori artisti in circolazione per i più appassionati e facoltosi collezionisti del pianeta. Che alla prima Preview hanno già acquistato tutto. E quando arriviamo noi (seppur privilegiati) giornalisti, alla seconda Preview, i giochi sono già fatti. Tutto è stato comprato e venduto. Per i collezionisti del week end restano solo alcune frattaglie.
Ma è ancora vitale per un professionista dell’arte recarsi a Basilea, spendendo una fortuna per gli hotel e per il resto (una minuscola acqua minerale costa 5 euro, il caffè 6 euro, ecc.): oppure, come alternativa e come facciamo noi, dormire a Mulhouse in Francia, e ogni giorno tra andata e ritorno a Basilea, percorrere 100 km). Va detto subito che un professionista serio, non può mancare Art Basel. Mentre puoi glissare la Biennale di Venezia o Manifesta o Documenta, che non aggiungono nulla alla tua informazione, se non la schizofrenia di alcuni curatori, Basilea è indispensabile, seppure solo per farsi un selfie davanti a Jeff Koons o Rudolf Stingel.
Ma intanto capisci il sistema dell’arte che ti passa davanti, dove l’arte sta andando, le trattative riservate ma a volte convulse di collezionisti che spendono allegramente cinque milioni di euro come noi spendiamo un euro per un caffè (in Italia).
Art Basel ti fa capire che l’arte, da dieci anni è diventata altra cosa da ciò che noi abbiamo vissuto prima. Ti fa capire che l’arte, quella che conta, quella contesa dai grandi collezionisti e musei straricchi, quella che dona una visibilità planetaria o porta migliaia di persone al museo, si è trasformata in un sogno irraggiungibile per un comune mortale.
Ed è retaggio di pochi (per modo di dire; pare che esistano milioni e milioni di miliardari) come retaggio di pochi (i Medici, Giulio II, i Gonzaga, Este, Montefeltro, ecc.) fu l’arte del Rinascimento. Noi, ovvero il 99% degli appassionati, possiamo solo guardare quest’arte e appunto farci un selfie per portarci a casa un ricordo e il sentimento delle opere più belle.