Licini sentì per tutta la vita uno stretto legame con la Luna, anche se morì 10 anni prima che l’uomo mettesse piede sul suolo del satellite. Legame ricostruito da questo studio del nipote Lorenzo
“Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”. Questo scriveva Osvaldo Licini in una lettera al critico Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1950: solo uno dei tanti esempi dello stretto legame che il grande artista sentiva con la Luna, e che oggi torna di attualità nel giorno in cui si celebra il cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sul satellite. Legame ricostruito da questo studio pressoché inedito – comparso soltanto sul sito osvaldolicini.it – del nipote dell’artista, Lorenzo Licini, che ci concede l’onore di pubblicarlo…
Qualche tempo fa ho scoperto che il nome di uno dei personaggi creati da Licini – Amalassunta (1) – nasconde un duplice anagramma: “La Musa Santa” e “Malus, Satana” (2).
Per certi aspetti il caso di Amalassunta ricorda quello di Agesilaus Santander: Gershom Scholem si accorse, infatti, che il nome Agesilaus Santander, presente in un racconto scritto da Walter Benjamin nel 1933, celava l’anagramma di “Der Angelus Satanas” (3).
In numerosi dipinti e disegni di Licini le parole e le lettere diventano, del resto, elementi della composizione e questo, insieme all’anagramma, conferma la particolare attenzione dell’artista per l’aspetto verbale.
Alberto Savinio scrisse che le parole “si volgono commosse e riconoscenti a chi come Leopardi le scruta nell’intimo e manifesta tanta amorosa curiosità per il segreto, per i segreti che ciascuna di esse racchiude” (4): credo proprio che Licini sarebbe stato d’accordo.
In certi autori la curiosità per il segreto delle parole diventa anche una riflessione sul significato del proprio cognome; questo è avvenuto, ad esempio, per Raymond Queneau: “nel romanzo autobiografico in versi Chêne et chien scritto nel 1936 lo scrittore, insieme alla sua infanzia, ricorda le intense meditazioni sul proprio cognome. Vi ravvisa la presenza della voce normanno-piccarda quesne (‘quercia’) e di quelle normanne quenet e quenot (‘cane’) che individuano due principi opposti, una doppia figurazione allegorica, lo scenario di un conflitto psichico” (5).
Un altro esempio è quello di Michel Leiris che, in una pagina del suo Journal, rovescia il proprio cognome e nome in Siriel Lechim (6): in tal modo questa “diversa sonorità consegna allo scrittore un’identità ebraica, il profilo di un rabbino immerso nell’ascolto di parole e nomi” (7).
Credo che anche Licini avesse riflettuto sul significato del proprio cognome; e credo che questa riflessione fosse iniziata molto presto, probabilmente già nel corso degli anni Dieci.
L’artista, nel 1914, si era trasferito a Firenze non soltanto per completare gli studi ma anche per seguire da vicino l’attività dei futuristi; in questo contesto è probabile che Licini avesse conosciuto Arturo Reghini (8).
In un saggio su “Simbolismo e filologia” apparso sulla rivista “Ultra” nell’agosto del 1914, Reghini scrisse che “l’idea del rapporto tra le cose e le parole la ritroviamo espressa nel noto precetto scolastico: Nomina sunt consequentia rerum, che Dante cita nella Vita Nuova”… “Anche Raimondo Lullo, contemporaneo di Dante, dava massima importanza al significato dei nomi; egli intendeva definire le cose secondo il loro stesso nome e non con dei sinonimi, e spiegava i nomi per mezzo delle etimologie” … “Bruno e Campanella, che chiamava se stesso la campanella, la squilla dei tempi a venire, ed in generale tutti coloro, che più o meno direttamente si riattaccano allo spirito od alla tradizione della scuola italica, si attengono a questo concetto, e ricorrono volentieri perfino agli anagrammi per esprimere le loro idee” (9).
Dunque Tommaso Campanella (noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla) evidenziava un possibile collegamento tra il proprio cognome ed il destino di innovatore, di “squilla dei tempi a venire”.
Si può ragionevolmente ipotizzare che Licini avesse letto questo saggio di Reghini o che comunque fosse venuto a conoscenza delle idee contenute nello stesso; da qui una probabile ricerca dell’artista sull’etimologia del proprio cognome.
Incuriosito, ho svolto anch’io, di recente, una ricerca sull’etimologia del nome Licini: con sorpresa ho scoperto che questo nome dovrebbe derivare dal latino “licinus” che significa “dalle corna rivolte verso l’alto” (10) e lunate, come quelle del toro.
René Guénon ha scritto “che le corna, nel loro uso simbolico, assumono due forme principali: quella delle corna di ariete, che è propriamente ‘solare’, e quella delle corna di toro, che è al contrario ‘lunare’, richiamando d’altronde la forma stessa della mezzaluna” (11).
Credo che Licini fosse venuto a conoscenza di questa etimologia e di questo simbolismo e che, in qualche modo, fosse stato influenzato dal sapere di ”avere la luna” nel proprio nome.
Indico di seguito, a titolo di esempio, alcune opere tra le moltissime dell’artista nelle quali è presente la luna.
L’Arcangelo Gabriele del 1919 – che in realtà, più probabilmente, è una raffigurazione del Bruto Minore di Leopardi (12) – dove una luna indifferente assiste ad un suicidio.
Il Paesaggio fantastico del 1927 (13) nel quale un animale dalle corna lunate fissa immobile l’orizzonte.
Il Notturno n. 2 del 1932, rischiarato dalla luna.
L’Olandese volante azzurra del 1944, dove compare una falce lunare.
L’uomo di neve (14) del 1947 nel quale compare un personaggio immaginario la cui testa è sormontata da due corna lunate.
Angeli primo amore del 1955 dove una piccola mezzaluna è presente nella parte in basso a destra del dipinto.
E poi, naturalmente, tutte le opere dove appare Amalassunta che per Licini è “la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco” (15).
L’artista non chiarì il motivo della scelta di quel nome così particolare, Amalassunta; in un’intervista del 1958 disse però di essere stato colpito, sin dall’infanzia, dal nome di “una certa principessa di Ravenna morta assai giovane” (“nella mia fantasia infantile accoppiai questa figura di sogno con la dea della notte che percorre il cielo torno torno…”) (16).
Si trattava di Amalasunta – in questo caso con una esse soltanto (17) – regina degli Ostrogoti, che visse tra il 493 (o successivamente) e il 535; si narra che per un periodo della sua vita fosse stata anche a Fermo, nelle Marche (18). Fu poi detronizzata e imprigionata nell’isola Martana, sul lago di Bolsena, dove venne assassinata nel 535.
Sulla base di quanto si può leggere in un antico vocabolario il nome Amalasunta deriverebbe dal tedesco e, in particolare, da “Himmel” (cielo) e da “scheint” (splende) (19).
Dunque, sul piano etimologico, Amalasunta potrebbe avere il significato di colei che splende nel cielo. Come la luna. E, in questo senso, è come se anche Amalasunta avesse la luna nel nome.
Questo significato etimologico appare, del resto, in particolare sintonia con le parole – “garantita d’argento per l’eternità” – che Licini usò per descrivere la luminosità della luna e quindi dell’Amalassunta (20).
Infine un riferimento all’isola Martana, dove morì Amalasunta: quell’isola, vista dall’alto, ha, per l’appunto, la forma di una mezzaluna (21).
Forse Amalasunta e Licini hanno veramente qualcosa in comune: è la luna nel nome.
Lorenzo Licini
https://www.osvaldolicini.it/notizie/la-luna-nel-nome/
(1) Nel 1950, alla XXV Biennale di Venezia, Licini espose nove opere sul tema dell’Amalassunta; era la prima volta che questo tema della sua arte veniva presentato al pubblico.
(2) Il duplice anagramma contiene un simultaneo riferimento al Bene (“La Musa Santa”) e al Male (“Malus, Satana”); potrebbe quindi rappresentare un (criptico) riferimento a Charles Baudelaire, un poeta che Licini amava molto e che, come noto, credeva in una perenne pulsione dell’uomo verso il Bene e al tempo stesso verso il Male.
(3) “Agesilaus Santander è – suggellato quasi con intenzione ornamentale da una pleonastica i – un anagramma di “Der Angelus Satanas””: così si legge in Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, traduzione di Maria Teresa Mandalari, Adelphi Edizioni, Milano, 2007, pag. 38.
Come l’anagramma di Amalassunta anche “Der Angelus Satanas” contiene un simultaneo riferimento al Bene e al Male.
(4) Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, Adelphi Edizioni, Milano, 2017, pag. 76.
(5) Luigi Sasso, Nomi di cenere Percorsi di onomastica letteraria tra Ottocento e Novecento, Edizioni ETS, Pisa, 2003, pag. 36.
(6) “Michel Leiris – Il me suffit de retourner mon nom (→ Siriel Lechim) pour être instantanément transformé en vieux rabbin” si legge in Michel Leiris, Journal 1922 – 1989, Édition établie, présentée et annotée par Jean Jamin, Gallimard, Paris, 2005, pag. 125.
(7) Luigi Sasso, Nomi ed errori in Michel Leiris, in il Nome nel testo – Rivista internazionale di onomastica letteraria, ETS, Pisa, 2006, fascicolo VIII, pagg. 662-663.
(8) Nelle note biografiche su Arturo Reghini, a cura di Paolo Alberti, apparse sul sito internet liberliber.it, si legge che Reghini, nel 1914, “aderì al movimento futurista. Amico di Giovanni Amendola e di Giovanni Papini, divenne in breve personaggio di punta della scapigliatura fiorentina all’epoca delle riviste “Leonardo”, “Lacerba” e “La Voce”, nell’ambito delle quali ebbe un ruolo rilevante”.
(9) Arturo Reghini, Simbolismo e filologia, Tipheret, Acireale, 2019, pagg. 25 – 26.
(10) Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier, Firenze, 2000, voce “licinus”, pag. 694.
(11) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 2017, pag. 173.
Guénon e Reghini furono a lungo in contatto. Tra l’altro Reghini curò la traduzione in italiano di Le roi du monde, il famoso libro del 1927 di René Guénon (l’edizione italiana uscì nello stesso anno).
(12) Il Bruto Minore è una canzone scritta da Giacomo Leopardi nel 1821.
(13) L’opera (che talvolta viene indicata anche come Il capro) è stata recentemente riprodotta nel catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 22 settembre 2018 – 14 gennaio 2019, Marsilio, Venezia, 2018, pag. 63.
(14) L’opera è stata di recente riprodotta a pag. 149 sul catalogo del 2018 citato in nota 13.
(15) Lettera di Osvaldo Licini a Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1950.
(16) Tony P. Spiteris Un grande artista è morto Il pittore del sogno Osvaldo Licini concede la sua ultima intervista al giornale Elefteria, Elefteria, 2 novembre 1958.
(17) L’aggiunta, da parte di Licini, di una esse all’originario nome di Amalasunta rende possibile il duplice anagramma di cui ho scritto in precedenza.
(18) Monte Vidon Corrado, il paese dove nacque e morì Licini, si trova a poca distanza da Fermo.
(19) Vocabolario universale italiano, compilato a cura della Società Tipografica Tramater e C., Napoli, 1829, vol. 1, pag. 233, voce Amalasunta.
(20) Arturo Reghini, in op. cit. in nota 9, afferma, alle pagg. 61 – 62, che la luna si collega “con l’idea della sua luce bianca, ed il suo splendore con quello dell’argento. Luna dal latino lucna, lucina, dalla radice indo-europea ruc = splendere, che compare con questo senso nel greco lyk (amfilike), e nel latino lux, lucere, lucerna”.
(21) In alcune opere dell’artista l’Amalassunta ha proprio la forma di una mezzaluna.