Venezia. In occasione della Biennale di Venezia 2019 alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro va in scena Dysfunctional, presentata dalla Carpenters Workshop Gallery in collaborazione con il Gruppo LombardOdier. Dall’8 maggio al 24 novembre 2019.
In una mostra che si colloca dichiaratamente tra arte, architettura e design stupisce trovare quella credibilità che manca a tante delle filiazioni di Biennale. Location d’indubbia bellezza e opere dal forte impatto visivo, rigorosamente site specific, aiutano ma non possono spiegare del tutto la fascinazione che la selezione esercita sullo spettatore, invitato fin dalla prima sala ad osservare, avvicinarsi, quasi spinto al tocco da una curiosità che sorge spontanea.
L’esplorazione inizia con le lampade-scultura di Nacho Carbonell, che raccoglie elementi del paesaggio quotidiano quali alberi e panchine per trasformarli in oggetti di stupefacente bellezza, in la cui funzionalità arricchisce più che turbare quello che è un fascino evocativo pressoché atemporale. Il perfetto sposalizio con l’ambiente, così edibile da suggerire al malpensante una curatela furba, rappresenta in realtà solo l’inizio di quello che si presenta come un percorso coerente e di ampio respiro, che le didascalie arricchiscono di significati coerenti e piacevolmente inaspettati.
Se qualche pezzo si presenta quasi scontato, come le Double Bobbles di Rick Owens (per cui è facile volare leggere sopra un panorama veneziano irresistibile) altri angoli sanno davvero regalare attimi di perdizione, di quelli in cui un amante dell’arte ama crogiolarsi senza riposo.
È questo il caso di Fragile Future la cui leggerezza, incastonata in una nicchia che sembra fatta per lei, accarezza e spintona un martirio di San Sebastiano che grazie ad essa respira nuova energia. La spiegazione non delude ma, anzi, conferma l’impressione avuta istintivamente: Il contrasto rimanda infatti a quello tra epoca rinascimentale e attuale anche nel significato, e continua così l’impressione, per una volta, che per carpire l’opera possa bastare lo sguardo.
Lo stesso “manifesto” della mostra ne rispecchia pienamente lo spirito: l’arte richiede una risposta emotiva, quasi fisica, che ritroviamo in molti degli oggetti esibiti; la funzione non restringe ma amplia le possibilità artistiche; lo spettatore diventa fruitore (in accordo con la più grande rivoluzione dell’arte novecentesca) e non c’è più distinzione tra forme artistiche, tra oggetti e opere, tra arte e funzionalità.
Niente di rivoluzionario, si potrebbe dire, ma l’atto rivoluzionario è ammetterlo laddove la tendenza impera comunque ma silenziosamente.Una visione a dir poco semplicistica, si potrebbe dire, ma non c’è niente di semplicistico nell’onestà di un’operazione che rivela se stessa.
Il primo piano riserva ancora delle sorprese, e Marten Baas lo prova. Real Time XL, The Artist, all’incrocio tra video-arte, performance e installazione, colpisce per la sua immediatezza e stupisce per il fascino con cui ci si trova ad osservarla incantati dalla sua ripetitività, per la curiosità con cui ci si affaccia sul retro scoprendo una porta che tenta e lascia sospeso il giudizio finale.
L’ultimo livello è forse quello che delude di più, con lampade che per quanto belle restano semplicemente tali (Atelier Van Lieshout) e una Sinking Ship che in mezzo a tanta bellezza stupisce per i suoi tratti kitsch. Un’altra sala di Nacho Carbonell non risolleva la situazione – anche se solletica il desiderio di possessione – ma il ritorno alla casa-base resta permeato dalle ispirazioni raccolte, e un ultimo sguardo alla splendida corte del piano terra mi ricorda perché la visita è stata così piacevole.
http://www.cadoro.org/mostre-ed-eventi/in-corso/dysfunctional/